L’epiteto specifico dell’essenza vegetale che produce questo splendido fiorellino deriva dal latino “intybus” a sua volta radicato nel lemma greco “éntybon”, nominativo di una pianta erbacea nota fin dall’antichità più remota e oggi comunemente conosciuta anche come “erba scariola”. L’appellativo generico, invece, è “Chicorium” di incerta etimologia, forse legata all’antico arabo o all’egizio “Kichorion”, ma sono solo ipotesi. Sull’origine del nome comune di una diffusa variante di questo cultivar, la “Catalogna”, il dibattito fra filologi è ancora apertissimo e fa riferimento a una terminologia di origine araba, o alla lingua gotica che diede il nome alla regione iberica nota appunto come Catalogna o “terra dei castelli” (castellania ma anche Catalania o Castiglia). Una cosa è però indubitabile: il nome scientifico della pianta, “Chicorium intybus”, è stato imposto dall’ormai inevitabile Carl von Linné nella seconda metà del secolo XVIII.
Altra circostanza certissima (ma questo il lettore meno distratto l’avrà già capito) è che quello riprodotto nella foto è il fiore azzurro tenero, coronato da 15 petali, della cicoria comune spontanea. Sì proprio quella che ottiene a volte spazio sulle nostre tavole in diverse varietà: radicchio, scarola, belga, puntarelle, indivia, catalogna e così via. In questo periodo dell’anno dalle nostre parti inoltre si trova cicoria selvatica un pò dovunque, lungo la pista ciclabile, ai bordi delle strade e anche in qualche giardino. Ma non si tratta solo di un vegetale ottimo in tavola visto che possiede anche proprietà medicinali notevoli ben conosciute da migliaia di anni. Caratteristica comune a quasi tutti i tipi di cicoria, infatti, è un retrogusto più o meno amaro. La sapienza popolare spiega che tutto ciò che è amaro fa bene al fegato. Non è proprio così ma nel nostro caso è verissimo. Questa verdura contiene in buona quantità vitamina A e C oltre ad alcuni sali minerali come calcio e potassio insieme a ferro e magnesio.
Chi ha i capelli bianchi ricorderà che durante l’ultima guerra gli eventi bellici avevano fatto scarseggiare il caffè che veniva spesso autarchicamente sostituito da un infuso di foglie tostate di cicoria proprio come era accaduto 150 anni prima quando l’embargo napoleonico aveva colpito i generi coloniali inglesi fra i quali té e caffé. Però siate prudenti. L’assunzione di cicoria in grandi quantità presenta alcune controindicazioni in caso di gastrite, ulcera peptica e calcoli biliari. Inoltre potrebbe ostacolare l’assorbimento di alcuni farmaci come i beta-bloccanti utilizzati contro l’ipertensione.