Quest'anno trascorreremo a casa di amici palermitani l'Immacolata Concezione. Ci faranno compagnia una decina di parenti e “qualcosa da mettere sotto i denti”. A Palermo, si sa, in questo periodo (e non solo) lo sport preferito di chiunque è trascinare il proprio duodeno verso limiti di sopportazione semplicemente inimmaginabili. E, ovviamente, anche le prostate malandate dei più subiscono un'attività anomala, inondate da ettolitri di vino bianco, giallo, rosso e blu.
Entro di soppiatto nella cucina dei miei amici e mi si appalesa subito, algida e imponente, un'antica pentola di dimensioni ciclopiche, la cui superficie copre quasi tutto il piano cottura.
Titubante e circospetto mi avvicino per scoprire cosa mai si nasconda sotto il coperchio, martoriato da troppe battaglie.
Immediatamente, vengo investito da un'ondata di profumo che mi stordisce, annichilisce le mie papille gustative e guida le mie dita alla ricerca di un tozzo di pane da intingere con bramosia nel sugo di maiale che sobbolle lento e rassegnato, a 5 cm da me.
La mia amica, proprietaria di casa nonché della pentola e del sugo, mi blocca con un pugno nei reni. “È ancora presto! Deve cuocere perlomeno altre tre ore!” mi dice. Io, che sono notoriamente una persona gentile, non la prendo a calci e pugni. Non reagisco. Sono un signore, io!
Per il giorno seguente, comunque, dovrebbe esser pronto, mi dicono. E, forse, mi sarà concesso fare la scarpetta con 2 o 3 filoni di pane raffermo e non.
Alla pentola, per essere totalmente felice, mancano tuttavia ancora 4-5 kg di maccheroni caserecci da cuocervi dentro con delicatezza.
“Basteranno?” si chiede tra sé e sé la mia amica.
Ella mi confessa che in quel sugo stanno crogiolandosi anche 8 kg di carne di maiale, ucciso precedentemente dal marito, presumo. Lui è un medico conosciuto. Non mi picchia mai, ed essendo buono di cuore, evinco quindi che prima di infilare il suino nella pentola lo abbia dapprima stordito con una puntura delle sue e successivamente tagliato a piccoli pezzi col suo bisturi preferito, quello che tiene nel taschino, accanto al sigaro. Ma non è tutto. Vengo a sapere, dalle solite voci di corridoio, che anche diversi kg di patate e ben 30 uova di gallina (viva, ma non la stessa) stanno annegando in quel sugo col povero maiale, le cui costine fanno a gomitate con salsicce e altre amenità tra il concentrato di pomodoro e la passata. Il tutto, per spegnere l'inestinguibile appetito di una quindicina di palermitani e del sottoscritto, unico straniero tra tanti. In quanto “milanisi” appartengo, infatti, a un'altra razza.
La mia adorata fidanzata, da sempre, si nutre invece quasi esclusivamente di odori e aromi: a tavola ci guarda ogni volta con commiserazione e un pizzico di malcelato disgusto.
La domanda che continua a serpeggiare nell'aria, persino tra i vicini di casa e nei condomini adiacenti, è una sola: “basteranno 5 kg di pasta?”
Per fortuna, a spegnere ogni dubbio ci pensano i parenti. Hanno portato, in via cautelativa, alcuni kg di dolci, diverse torte fatte in casa, vino, “pane bbuono” e altre cibarie non avariate che sfamerebbero tranquillamente un battaglione di bersaglieri e i loro parenti di primo, secondo e terzo grado.
Sì, forse riusciremo a saziarci e la Madonna da lassù, sorriderà con noi.
Al di là di ogni teoria di fisica quantistica e non, quando quindici palermitani si siedono a tavola, il cibo pare evaporare, risucchiato chissà in quale dimensione, da oscure presenze. Un buco nero ricolmo di succhi gastrici fenomenali.
Io, con la modestia che mi contraddistingue, porto a termine il mio compito: ingoio il mio kg di pasta al sugo, mezza dozzina di pasticcini, una fettina di torta, mezza pagnotta e riesco incredibilmente a non macchiarmi. Mi accorgo troppo tardi che poco più in là ci sono due salami al pistacchio lunghi un metro... Memorizzo il luogo e chiedo incredulo al mio amico come mai essi, i salami, non siano sulla tavola. Egli non se ne capacita e si scusa.
Intorno a me, tutti mangiano qualunque cosa. C'è chi azzanna perfino la mano del vicino e si ferma soltanto quando lo sente urlare. Nessuno si ferma. Ognuno conduce la propria battaglia personale contro l'altro a chi mangia di più. Di colpo, verso le 15.30, tutto finisce. Iniziano, sommesse, le prime eruttazioni.
Dopo l'allegro bagordo, il mio amico (il dottore che uccide i maiali), ha l'occhio vitreo. Il suo sguardo, solitamente vispo e intelligente, ha lasciato il posto a un'espressione assente, quasi allucinata. Si acciottola sul divano e di colpo perde i sensi e si addormenta, tra il poderoso frastuono di chi ancora cerca di ingoiare qualcosa, con agire famelico e disinvolto. Io chiacchiero di politica col nipote del mio amico e sento il ventre urlare e chiedere pietà. Mi distraggo un minuto e mi accorgo che il corpo del mio amico non giace più sul divano. Qualche parente, evidentemente, ne ha spostato il cadavere altrove, per non turbare i presenti. Invece il dottore è ancora vivo! Riappare dopo una buona mezz'oretta, vispo come sempre e apparentemente ancora in possesso delle sue facoltà mentali. L'infame è andato a dormire, lasciandomi a combattere da solo contro tutte le tentazioni della carne (di porco morto).
Inizia l'atteso e celeberrimo poker a farfalla. Io e il ristorato seguace di Ippocrate ci mettiamo in società. Vinciamo senza pietà quasi tutto quel che c'è da vincere e infine ci spartiamo il bottino: 2 euri a testa!
Lui è quello bravo a giocare, io quello fortunato e che osa osare l'impossibile. Siamo una coppia imbattibile. Di tanto in tanto, ci rifocilliamo con grappe, amari, cassate, pandori (non in ordine alfabetico, però. Come capita capita). Ma questo agire sconsiderato scatena all'interno di me medesimo una terribile lotta per la sopravvivenza. Percepisco nitidamente il mio duodeno arrotolarsi dietro il fegato e le uova e il maiale si dimenano quasi a voler uscire in fretta e furia dal mio esausto esofago. Per fortuna, mi dico, sono a casa di un medico. Lui mi salverà!
Gli chiedo lumi ed egli, generosamente, mi regala ben 4 Maalox. Non ha altro...
Un'amara riflessione mi attraversa l'anima: io rischio di esalare l'ultimo respiro a causa di un'indigestione e del porco (che lui ha ucciso) e in casa, lui medico, non ha altro che 4 misere pastigliette di Maalox? È inconcepibile! Mi riprometto, il mattino seguente, di farlo radiare dall'ordine dei medici digestologi. Ippocrate e il ministro della salute ne saranno felici.
Quatta quatta, nel frattempo, si avvicina la notte, aqquattata in un silenzio irreale, cosa rara al quartiere Brancaccio. Ognuno trascina se stesso verso la propria stanza. Ho già ingoiato due Maalox, ma dal buio riemerge l'ombra del mio amico. È ricurvo e avanza a zig zag. Mi chiede, quasi supplicandomi, se ho un Maalox da dargli.
Ma come? Da quando in qua si chiede indietro un regalo o parte di esso? È veramente paradossale. Il mio amico, però, ha lo sguardo sofferente. Anche dentro di lui, salsicce e costine e cassate lottano ferocemente e non mi sento di negargli una delle mie Maalox. In fondo sono a casa sua. È sua la carta igienica, suo il letto ed anche le Maalox erano sue.
Gliene allungo una, ritirando subito la mano. L'ultima potrebbe essere quella in grado di salvarmi la vita. Saluto in fretta il mio amico e mi chiudo nella mia stanza. Nascondo nella mutanda bianca a costine l'ultimo Maalox poiché, nottetempo, il mio amico potrebbe tentare di sottrarmi l'adorata pastiglietta, che non è neppure azzurra, ma bianca come la neve che cade senza fare rumore un po' qui e un po' lì. All'interno della mia mutanda lui, il dottore che uccide e mangia maiali, non la troverà e soprattutto non la cercherà mai! Posso finalmente addormentarmi felice. Domani è un altro giorno, diceva qualcuno. Sì, vero. E io devo assaggiare il salame al pistacchio, prima che qualcuno lo faccia sparire chissà dove.
Ma la domanda adesso è una sola: basteranno due salami lunghi un metro per 4 persone? Lo scopriremo solo vivendo.
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Storie di Vita