Lungo la pista ciclabile, nelle aree più ombreggiate, se ne incontrano spesso le esili cuspidi che anche la più timida brezza fa ondeggiare senza sosta. È noto con il nome comune di Meliloto o Trigonella ma anche Trifoglio cavallino o Lupinella poiché lo slancio goticheggiante dell’infiorescenza ricorda da vicino la struttura svettante del Lupino. I botanici non si allontanano molto e lo chiamano Melilotus albus. L’appellativo generico è composto e deriva dal greco μέλι “meli” (miele) visto che le api ne sono assidue frequentatrici e λωτός “lotos” (loto) nome con il quale nell’antica Ellade ci si riferiva a numerose leguminose dai fiori bianchi. Infatti l’appellativo specifico della pianta, “albus” è termine latino che significa “bianco”.
La medicina popolare indicava numerosi impieghi terapeutici del Meliloto, in particolare, ma non solo, della varietà dai fiori gialli (Melilotus officinalis). Un tempo i preparati ottenuti da questa essenza vegetale, ricca di cumarine, flavonoidi, tannini, glucosidi e saponine, venivano utilizzati in funzione antibatterica e come antiossidanti in grado di evitare che i cibi irrancidissero. Inoltre si riteneva che il Meliloto fosse in grado di produrre effetti digestivi, antispasmodici, sedativi diuretici, astringenti e decongestionanti.
Caratteristiche che venivano attribuite dalla tradizione agli effetti dell’infuso, assunto dopo i pasti, efficace per contrastare vertigini, insonnia e persino insufficienza venosa cronica mentre usi topici di questa pozione sembra svolgano le funzioni di collirio in casi di irritazione congiuntivale e infiammazione delle mucose nasali. Però, se volete un consiglio, il Meliloto limitatevi ad ammirarlo. Meglio evitare rischi con la preparazione di intrugli. In caso di digestione difficile o difficoltà urinarie è preferibile sentire il parere del medico. Anche perché gli effetti terapeutici di questa pianta, in tutte le sue varianti, non sono mai stati confermati da studi sottoposti all’esame della comunità scientifica (peer review).