FLASH
La sua casa è piccola, discreta, due stanzette poste sotto la torre. A lei piace la posizione. Le piace percorrere le due stradine del centro storico, oltrepassare l’arco, e sparire dietro una porta di cui nessuno immaginerebbe l’esistenza. Le piace abitare al pian terreno, sotto la mole di pietra, in un angolo semioscuro.
Due locali con una finestrella, un bagno cieco. Odore di umidità e di minestra. Sembra che il tempo non sia mai passato lasciando intatte le cose, i ricordi. Sembra, perché lei adesso deve fare i conti con i dolori articolari e il camminare incerto, mentre in gioventù ha scalato i monti intorno.
Era convinta che la solitudine non le sarebbe pesata, ma, col trascorrere degli anni, desidera sempre di più presenze vicine e mani tese.
Odore di umidità e di abbandono. Nel vano, ricavato ai piedi del patrimonio storico, la pensione modesta le fa tenere di frequente la luce spenta e attivare di rado il riscaldamento.
Si copre di maglie, vecchi lasciti della madre e della zia. Sarte.
Non era versata per usare il puntaspilli, chiusa tra i braccioli di una sedia, lo sguardo fisso su piccoli ricami e lavori. Ha sempre preferito l’aria aperta. Seguire il padre che portava viveri e medicinali nei posti più disagiati della montagna o nei paesi sulla sponda opposta del lago: non era la semplice libertà degli spazi inesauribili, era il corpo che arrancava tra i sentieri con il solo scopo di farla sentire viva. Era raggiungere la cima, tornare a casa prima del tramonto, competere con la natura crudele e meravigliosa, indifferente e magnetica.
Una serie di lutti, in giovane età, l'ha lasciata sola molto in fretta. Si è ritirata sotto la mole grigia e austera, non potendo permettersi le spese per la casa avita.
Per tanto tempo ha vissuto intime felicità nel suo stato di donna libera, spesso invisibile agli occhi del mondo, ma adesso vuole l’interessamento del mondo, essere viva agli occhi di qualcuno. Qualcuno che apprezzi le sue doti di sportiva, le rampicate verso cime impervie di cui si è fatta protagonista. E, invece, nessuno pare ricordarsi.
Lei tiene appesi al muro della cucina gli articoli dei trofei ottenuti, ritagliati dalle gazzette locali: li guarda e li rilegge ogni giorno.
Quando le persone mettono piede nella stanzetta, l’idraulico o il falegname, lanciano un’occhiata distratta, se non indifferente, a quei ritagli. Pensano che siano ricordi obsoleti di una vecchia immersa nel suo mondo lontano.
-Sono care le bollette, vero, signora Maria? - le chiede l’elettricista un giorno di dicembre.
-È per questo che tengo spento.
-Stia attenta, però: non stacchi il frigorifero, perché potrebbe guastarsi.
-Una volta, d’inverno, mettevamo il latte sul davanzale della finestra!
-Altri tempi, signora Maria, altri tempi!
Già, altri tempi. Tempi in cui illuminava l’albero e il presepe con le candele. E ora non vuole o non può neppure usare due lucette colorate.
E il presepe la sera diventa un ammasso, buio e confuso, di paglia e statue.
-Guarderò quello vicino al monumento!
E così esce verso le otto e, piano piano, col suo passo malfermo e il bastone, raggiunge lo slargo verde sul lungolago dove è stata collocata la composizione. Le sagome piatte, scure da un lato e colorate dall’altro, ritraggono personaggi dell’Ottocento, molti caratterizzati dai mestieri praticati: la lavandaia, il pastorello, il falegname, il prete, la vecchina, il vecchio…
Sono significativi nella loro espressione di attesa, e molto belli.
Non c’è la Sacra Famiglia, non c’è il Bambinello. Ci sono le persone, i personaggi della tradizione, che aspettano. Aspettano.
E la gente si ferma. Osserva. Fa le foto. Il tutto è enfatizzato dalla musica di sottofondo, diffusa dai trasmettitori appesi agli alberi, e dalla dolcezza delle luci smorzate.
Maria sosta per contemplare. Contemplare.
Nell’antivigilia sosta più a lungo, nonostante il freddo.
C’è qualcosa che l’attira in quelle sagome: l’espressione dei volti le rende persone vive.
A Maria viene voglia di chinarsi sotto la corda del recinto e di andare a sedersi sul piccolo masso che sta accanto alla fontanella: vuole entrare a far parte del gruppo di figure animate a cui il mondo presta attenzione. E in un momento in cui il passeggio sembra assente, prende posto accanto al personaggio che ha appena attinto l’acqua dalla fontana. Stringe la mantellina attorno al collo, calca il berretto di lana sul capo, attorciglia le gambe tra loro sotto la gonna appartenuta alla zia.
La gente che passa la scambia per un’attrazione turistica e la fotografa più volte con il digitale. Appollaiata sul masso, può vedere una sequela di flash dedicati a lei.
Sorride. Sorride felice.
La musica, proveniente dai platani di fronte, è una dolce nenia che fa dormire e così lei appoggia le mani sul bastone con cui deambula, china il capo e si assopisce.
Quando si fa giorno, è sempre nella stessa posizione.
Immobile, come tutte le altre sagome di compensato.