Almeno fino alla metà del secolo scorso, le bambine di famiglia contadina e operaia erano avviate, a volte prima dell’età scolare, all’apprendimento delle tecniche fondamentali riguardanti l’uso dei filati: maglia, ricamo, pizzo, cucito, rammendo, rattoppo...Le prime insegnanti erano le donne di casa (mamma, nonna, zie..); in genere poi si proseguiva sotto la guida delle suore della scuola di lavoro, organizzata in ogni parrocchia. Quindi chi desiderava praticare un lavoro artigianale ‘femminile’ svolgeva un apprendistato di alcuni anni presso il laboratorio di una maestra, come quello della sarta o della magliaia.
Comunque, tutte le ragazze, in quanto future ‘donne di casa’, erano tenute ad acquisire quelle abilità basilari nella lavorazione di filati e tessuti, necessarie per preparare e riparare la biancheria e il vestiario della famiglia. La lavorazione a göc’ (ad aghi per maglia) era particolarmente importante, in quanto permetteva di confezionare gli indumenti invernali: maglie e maglioni, calze, mutandoni, sciarpe e scialli, berretti, guanti...Tutto ciò spesso facendo e disfacendo, cioè riutilizzando più volte la stessa lana, secondo le regole del risparmio e del riuso, indispensabili nell’economia domestica di un tempo.
Una deroga all’estrema parsimonia era tuttavia concessa per la preparazione della schirpa, il corredo dotale, che impegnava ogni ragazza durante l’adolescenza. Le famiglie assicuravano infatti alle figlie la tela e il filato necessari per confezionare e decorare la biancheria personale, per il letto, per la casa, che avrebbero portato in dote nella casa maritale. Il ricamo ad ago - di solito bianco su bianco, ma all’inizio del Novecento anche rosso su bianco – eseguito in svariati punti (asgiùùr, erba, palestrina, ghipüür...), era la tecnica più impiegata per arricchire ogni pezzo, dal fazzoletto alle lenzuola.
❓E oggi? Qualcuno esegue ancora queste antiche lavorazioni così comuni tra le nostre antenate? Magari sono state del tutto dimenticate...Oppure si ripropongono in altre forme...E da chi?
🥰Ringraziamo Rosalba Negri, ricercatrice del nostro museo, per questo post!