La storia la dovreste conoscere tutti: 126.000 forbici "made in Premana" bloccate dalla finanza a Como perchè provenienti dalla Cina o giù di lì.
Insomma, una brutta, bruttissima storia.
E tante domande.
Le prime un po' ingenue.
Sarà stata una "prima volta"? Sarà stato un maldestro tentativo "purtroppo" finito male per cercare di rimettere a posto qualche conto in sospeso?
Le seconde un po' meno, poi la verità la stabiliranno le autorità preposte e non altri soggetti, tantomeno un giornale.
Era uno dei tanti carichi già arrivati ufficialmente con tanto di bolla doganale, dichiarazioni varie d'importazione e tutta la burocrazia al seguito?
Un susseguirsi di acquisti a prezzi stracciati per garantirsi, anche grazie ad un marchio di qualità, ingenti guadagni con un minimo sforzo?
Sapremo.
Quel che è certo è che da questa vicenda l'intero tessuto produttivo premanese rischia di uscirne con le ossa rotte o, quantomeno, doloranti.
Non è il primo caso e non sarà l'ultimo di questo genere, intendiamoci, ma il fatto che sia accaduto lassù, in quell'isola più o meno felice costruita sulle tradizioni, la storia, la laboriosità, il senso della comunità, non può non lasciare l'amaro in bocca ed un grande senso di tristezza.
Ci fermiamo qui, con questa considerazione, nella consapevolezza che la stragrande maggioranza dei premanesi, abituata a finire sulle pagine dei giornali per il Giir di Mont, L'Antico, le sue lame "vere", le piccozze più belle del mondo, non meritasse di vedere il nome del proprio paese coinvolto in una così brutta storia.
Che fa male a tutti e che non può far sorridere nessuno, perchè da questa vicenda, purtroppo, se uno perde la faccia l'altro, e ci riferiamo ad un intera comunità, rischia di veder intaccato un valore faticosamente costruito nel tempo.