I candidi fiori riprodotti nella foto (scattata lungo una recinzione della strada Mezzana) appartengono ad una pianta molto diffusa in Valsassina. Si tratta del Prugnolo selvatico al quale il solito Linneo, verso la metà del XVIII secolo, attribuì l'appelativo scientifico di Prunus spinosa a causa della numerosissime e acuminate spine presenti lungo gli esili rami che i fiori ricoprono quasi completamente. Per molti secoli, vale a dire dal Medioevo fino ai primi decenni del secolo scorso, si credeva che il Prugnolo fosse dotato di poteri magici, grazie ai quali potesse proteggere le abitazioni da incendi e fulmini, e che possedesse persino poteri apotropaici.
Il Prunus spinosa è molto simile al Biancospino ma, a differenza di quest'ultimo, i fiori spuntano prima delle foglie e sono frequentatissimi da api e altri insetti bottinatori. A causa della sua ubiquità, dovuta alla resistenza a condizioni climatiche anche molto severe, l'onomastica di questa pianta è cospicua ed è composta da decine di definizioni fra le quali strozzapreti, strozzacani, sgancio, susino di macchia e altro ancora. La medicina popolare riconosce al Prugnolo numerose proprietà fitoterapiche che risiedono nei fiori, nelle foglie nelle bacche e persino nella corteccia. Pare che questa essenza cespugliosa, luogo d'elezione per la nidificazione di piccoli uccelli, sia in grado di curare piccoli tagli e ferite, mitigare la febbre, svolgere funzioni lassative, vermifughe, diuretiche, digestive, antinfiammatorie e analgesiche.
I fiori del Prunus sono inoltre ricchi di amigdalina, oli esenziali, resine e flavonoidi (antiossidanti) mentre i frutti, raccolti a mezzo autunno, sono portatori di vitamine e possono essere impiegati per la produzione di marmellate. Dalle drupe del Prugnolo è possibile ottenere liquori ed acquavite ad alta gradazione alcolica. Dalla corteccia, un tempo, si otteneva un colorante rosso utilizzato per la tintura di tessuti insieme alla radice della robbia (dal latino “rubius”, rosso), molto più diffusa.