Alle 2.40 del I gennaio, un uomo in giacca di velluto verde bottiglia e pantaloni di knickerbocker ha lo sguardo rivolto all’abisso opalescente del cielo. Attraverso la grande vetrata dell'aula magna la dea bianca, a metà del suo cammino verso il plenilunio, spalma sul pavimento e sui banchi ad anfiteatro pallide strisce di luce. L'Istituto di psicoantropologia della Saint Cloud State University di Minneapolis, immerso nel silenzio della notte, è deserto. Come l’aula magna, in grado di ospitare un migliaio di persone grazie al raddoppio di capienza avvenuto qualche anno prima a causa dell'afflusso in continua crescita di studenti nel campus, di fronte all'East bank, lungo il corso settentrionale del Mississippi. La temperatura esterna molto bassa, come ogni inverno che si rispetti nel Minnesota, rende ancor più vivaci e scintillanti miriadi di stelle che il semicerchio lunare non riesce ad eclissare.
Il dott. Yehoshua “Step” Stepleton, neurologo e psicolinguista, guarda il cielo ma non lo vede. Sta pensando al sogno ricorrente della sua adolescenza, ormai quasi estinto nella nebbia limbica, che lo portava immancabilmente ad afferrare le stelle e a divorarle con ingordigia in una sorta di astrofagia compulsiva che si concludeva sempre con un brusco e sudaticcio risveglio. Sta pensando, il prof. Stepleton, ai possibili significati di quel sogno che ha pervaso le notti della sua prima giovinezza. Sta pensando anche, come accade quotidianamente ormai da alcuni giorni, al "soggetto" ospitato, o meglio rinchiuso nella stanza 14 e strettamente sorvegliato da un paio di uomini in divisa e da due... agenti? Gorilla? Guardie in borghese?
Il dott. Yehoshua Stepleton, non sa proprio come chiamarli. Sa soltanto che i due sono piombati lì contemporaneamente ai poliziotti mezz'ora dopo che il direttore dell'istituto, J. J. Hogarth aveva telefonato allo sceriffo della contea nei seguenti termini: “Ciao Bill, sono Jordan. Come quale? Jordan, il padre di Conrad, il tuo consuocero… Sì, proprio quello. Ecco, bravo. Allora ascolta. No, non so che ora è. Non mi interessa. Fammi parlare. Qui in istituto c’è un… una… una cosa che mi sembra… È strana… È qui ferma, vicino all’aula magna. Insomma manda subito qualcuno... Che ne so se è pericolosa. No, non sembra armata. Ma non… Cosa significa ‘atteggiamento aggressivo’? Piantala con le domande da poliziotto. Sbrigati. Fa in fretta.”
L’evento principale si era manifestato improvvisamente, nel più assoluto silenzio. La comparsa, anzi l'apparizione, era avvenuta verso l’una e mezza proprio davanti allo studio di Stepleton, nel padiglione 17, mentre un addetto alle pulizie stava spingendo il carrello con gli strumenti di lavoro, verso l'aula magna, lungo il corridoio deserto. "Prima" davanti alla stanza 14 non c'era nulla. "Dopo", un secondo dopo, quando l'addetto alle pulizie aveva superato l'uscio, l'oggetto (solo più tardi sarebbe diventato il "soggetto") era lì. La comparsa era stata preceduta, come avrebbe dichiarato in seguito il terrorizzato operatore ecologico, da “una specie di ronzio più come un fruscio però, ma meno forte, come se c'era vento ma senza aria”. L'uomo si era girato di scatto ed era fuggito urlando verso il fondo del corridoio rifugiandosi in preda al panico nel ripostiglio dove solitamente viene depositato il carrello dopo le pulizie che si svolgono in genere durante la notte.
Intanto le urla avevano richiamato un paio di ricercatori attardatisi nel laboratorio di fisica neurale i quali avevano estratto a forza il poveretto dall'angusto locale tirando giù dal letto il direttore per segnalargli la presenza di “qualche cosa di molto insolito nel padiglione 17”.
"Qualche cosa di molto insolito" si trova ora custodito nella stanza 14 presidiata all'esterno dai due mastodontici man in black, mentre i dottori Stepleton e Crane stazionano all'interno in meditabondo silenzio.
IN ALLEGATO L`INTERO RACCONTO DI ELIO SPADA
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Cultura
IL BUCO (Un racconto di fantascienza di Elio Spada)
Martedì, 08 Giugno 2021 13:32 Scritto da ELIO SPADA
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