Mercoledì sera 7 febbraio, nella sala riunioni dell’Istituto Maria Ausiliatrice, Giuditta Mascheri ha parlato a un pubblico numeroso della prematura scomparsa di Margherita narrata in un libro autobiografico intitolato "MARGHERITA: la porta della speranza".
Giuditta mi viene incontro sorridente. Mi ha vista dal fondo della sala e mi saluta, grata per la mia partecipazione. Il viso è giovane e sereno sotto le lampade impietose. Sono ammirata, esprimo qualche considerazione che risuona insignificante di fronte al portato della sua testimonianza.
Nel frattempo, giungono gli ospiti. Occupano di buon grado le sedie della sala riunioni. Si avverte il desiderio di essere presenti per ascoltare le parole di una persona amica che, con sovrannaturale coraggio, ha affrontato un dolore immenso e l’ha vinto. Inoltre, c’è la possibilità di compiere un’opera benefica: il ricavato dalla vendita del libro servirà a finanziare la ricerca Pro Rett.
Una suora introduce col tono improntato all’umiltà e alla sapienza di chi non perde occasione per fare apostolato. Sottolinea i doni che la vicenda di Giuditta ha offerto: il dono del libro, segno di calvario e rinascita, il dono di ritrovate amicizie.
La professoressa Maria Grazia De Michele, che ha curato la realizzazione del testo correggendo il diario di una mamma impavida, legge con forte spirito di immedesimazione la lirica di Pavese “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. La voce è espressiva, sprigiona pathos e il discorso conseguente predispone alla gravità e alla grandezza di un evento che fa sentire tutti davvero piccoli.
Giuditta prende la parola e riporta l’intervento dentro i confini del colloquiale e del quotidiano. Racconta, articolando in sequenze narrative e riflessive, la scoperta della malattia, il travaglio vissuto. Lei e il marito Michele offrono con semplicità disarmante le tessere di una vicenda che commuove e si deposita nell’anima. L’impressione che se ne ricava non è l’invito a rivivere la tragedia, ma a prendere coscienza di ciò che l’evento doloroso e amaro ha determinato in chi l’ha vissuto. E cioè la consapevolezza, verrebbe da dire manzoniana, che dal male si può generare il bene. Che attraversare il dolore può determinare crescita umana e morale, offrire doni inattesi.
Anche i fratelli di Margherita, la bambina dagli occhi belli, esplicitano pensieri in cui si coglie gratitudine e consapevolezza.
Infine, le domande poste da qualcuno del pubblico vengono accolte con grazia da Giuditta e Michele che rispondono in modo esauriente ed attento al coinvolgimento suscitato.
Una bella serata. Un momento insieme che riporta a verità inalienabili e induce a riconoscere più convintamente il valore delle prove, la fede nel mistero che regola la vita, la scoperta di nuovi, inattesi approdi.