È Gesù stesso che ci propone il centurione romano come un esempio straordinario di credente. “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande”. In quello che si dice di lui nel vangelo possiamo trovare suggerimenti importanti per la nostra vita di fede e di discepoli di Gesù. “Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Questa frase del centurione mi aiuta a pensare alla sua fede in riferimento particolare al mio e al nostro incontro con Gesù nella celebrazione della eucarestia.
Il centurione all’inizio del racconto è descritto come un vero intercessore. Si rivolge a Gesù pregandolo per il suo servo molto malato. Vive una attenzione ricca di tenerezza nei confronti del suo servo. Gli pulsa nel cuore un grande desiderio di vita perché la vita di una persona a lui cara è in pericolo. Dovrebbe appartenerci questo desiderio ogni volta che incontriamo Gesù perché la maggior parte dell’umanità è in pericolo di vita, per la guerra, per la fame, per la povertà, per la violenza. Dovrebbe appartenerci perché tante persone lottano ogni giorno contro malattie incurabili. Ci appartiene ancora di più il desiderio di vita vera, bella. Non ci basta la salute. Conosciamo tantissime persone che non sono malate ma hanno la morte nel cuore, o persone che la vita la sciupano o la gettano via. Noi stessi non dovremmo mai accontentarci di “sopravvivere” ma avere sempre acceso in noi un incredibile desiderio di vita piena, bella, armoniosa e gioiosa condivisa con tutti.
È il bisogno di vita che ci conduce a Gesù, ogni giorno nella preghiera e ogni settimana nella eucarestia. Ma purtroppo succede anche che ci presentiamo dal Signore per “dovere”, per “abitudine”, per “timore”, per “facciata”.
“non sono degno che tu entri sotto il mio tetto”.
È bella la consapevolezza espressa dal centurione della verità della sua indegnità, del non avere nulla da presentare come motivo di un rapporto di predilezione da parte di Gesù. “Non sono degno di nulla e tutto ricevo in dono”. Questo dovrei pensare ogni volta che incontro Gesù. Il suo amore, la sua attenzione, la sua tenerezza e la sua misericordia sono sempre immeritate. Ma ancora di più (e questa è una esperienza solo nostra e, credo, estranea al centurione) noi abbiamo bisogno di sentirci dire dal Signore che siamo preziosi ai suoi occhi, che siamo degni di stima, che ci ama follemente, che lui non ha su di noi il nostro sguardo ma ci vede con gli occhi di chi ama davvero e perciò ama anche le nostre povertà. E proprio così ci dice Gesù in ogni eucarestia donandosi tutto a noi.
“di soltanto una parola” al centurione bastava una parola sola. Anche per noi dovrebbe essere così se avessimo una fede simile alla sua. Ci basterebbe una parola ogni volta per avere più fede, più speranza, più capacità d’amare. Ci basterebbe una parola per celebrare con gioia la vita e sconfiggere in noi tutto ciò che è morte. Ci basterebbe una parola per sentirci il cuore ardere e volere con determinazione e fedeltà donare vita. Ci basterebbe una parola per sperare l’impossibile e compiere qualche passo che spetta solo a noi per andargli incontro.
Centurione senza nome, uomo umile, affamato di vita e di Parola, semplice, di grande fede, prega per noi.