Chi nutrisse qualche interesse per la plural tenzone tra evoluzionisti e creazionisti, ovvero fra neo razionalisti e vetero idealisti o, ancora, fra chi pensa di pensare e chi crede di pensare, potrà con profitto e piacere dar di mano all'agile volume di Telmo Pievani "Creazione senza Dio" (Einaudi; pagg. 137). Dove, con piglio esplicitamente "partigiano" e penna (o tastiera) voltairiana l'autore solca la procellosa vicenda del confronto tra scienza e fede. Dimostrando come, se la tesi creazionista stricto sensu non ha bisogno di Darwin, è perfettamente vera anche l'affermazione logicamente speculare: Darwin può fare a meno di dio. Anche perché, con buona pace dei sostenitori dell'intelligent design, nell'universo darwiniano l'origine non è importante; il fiat lux è un elemento secondario. Anzi, se mi capite, privo di interesse.
Il lavoro dell'evoluzionista ha inizio quando la vita è già presente ed ogni sforzo viene indirizzato a capire "come" gli esseri viventi si evolvono, non alla ricerca della prima scintilla vitale. Ogni discorso riguardante una creazione più o meno divina, esula dall'interesse specifico della ricerca darwiniana.
Non è certo un caso che Darwin abbia intitolato la sua opera maggiore: “L'origine delle specie per selezione naturale o la preservazione delle razze privilegiate nella lotta per la vita”. Origine delle specie dunque, non della vita. A Darwin interessa lo sviluppo, un processo naturale non gli eventi dai quali le prime forme di vita si sono formate siano essi di natura divina o meno. L'elemento religioso rimane fuori dal sistema darwiniano in linea di principio. Tant'è vero che lo stesso Darwin, nel 1879, spiegava, in una lettera ad uno dei suoi corrispondenti: “Nelle mie fluttuazioni più estreme non sono mai stato un ateo nel senso di negare l'esistenza di Dio. Mi pare che generalmente (e tanto più quanto invecchio), ma non sempre, la migliore definizione del mio pensiero sarebbe: agnostico”. (The Life and Letters of Charles Darwin, a cura di F. Darwin (Murray, Londra 1888) vol. 1, p. 304.
Come si vede Dio e “L'origine delle specie” si collocano in universi nettamente separati.
L' élan vital di bergsoniana memoria è già scattato da epoche immemorabili quando Charles Darwin, giovane suddito di sua Maestà Britannica, figlio di ottima famiglia, salpa a bordo del brigantino Beagle al comando del capitano Fitz Roy per un giro intorno al mondo che lo condurrà ad approdare alle isole Galapagos. Un caso? Forse. Ma certamente il caso gioca un ruolo fondamentale (non assoluto) nello sviluppo della vita.
Pievani lo spiega bene quando afferma che "Nel lancio di una moneta il caso opera regolarmente attraverso le leggi della fisica (...) quindi la legge si esplica in qualche modo attraverso il caso". Lo stesso è accaduto nella formazione del mondo. Casualità e causalità si compenetrano inestricabilmente a generare mutazioni, evoluzioni, estinzioni, progressi e regressi. Disegni intelligenti di origine più o meno divina o suggestioni integralmente creazioniste non trovano posto nello sviluppo dell'evoluzionismo che, come ricorda Giuseppe Montalenti nell'introduzione a "L'origine delle specie", trovò, nella seconda mentà del secolo XIX, numerosi e agguerriti critici: "In Italia, oltre ad alcuni vecchi zoologi e botanici, incapaci di accogliere le nuove idee, è da ricordare fra gli oppositori soprattutto un geologo, l'abate Stoppani, autore de "Il bel Paese".
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