L’Era del cinghiale bianco si è definitivamente conclusa ieri. Con Franco Battiato, classe 1945, scompare uno dei fondamenti della musica italiana. Non solo di quella “leggera” alla quale il maestro di Ionia aveva strappato brandelli di sincerità per un interminabile esperimento di contaminazione durato 50 anni.
Dalla musica sinfonica alla meditazione sufi. Dalle “canzonette” alla musica lirica. Dal cinema alla pittura, alla filosofia “dell’anima”, alla politica. Lui non si è mai stancato di esperire, solcando profondità abissali, tutto quanto c’è nell’uomo e intorno all’uomo. Voleva sempre, instancabilmente, capire, vedere, rischiare, comunicare. Ecco. Il termine esatto per indicare uno degli aspetti essenziali della sua attività artistica complessiva è proprio la comunicazione aperta al mondo e riavvertita per procedere sempre oltre. Per scoprire l’oltranza e L’ombra della luce. Un autore certamente “difficile” in grado però di disegnare un tragitto fecondo. Tragitto inciso da decenni nella storia della musica, capace di far convergere in un punto di intersezione Vite parallele che altrimenti non si sarebbero mai incontrate. Amava i paradossi.
E si muoveva lungo un percorso interno anche a quella sensibilità popolare che è parte significativa dei successi del cantautore siciliano e che ha sempre, dico inspiegabilmente, catturato l’attenzione anche di chi come me non ha mai seguito con costanza e grande interesse le sue esplorazioni. Ma le suggestioni sonore di Battiato colpiscono immediatamente anche l’orecchio più distratto, meno sensibile meno interessato alla scoperta delle Correnti gravitazionali dirette verso un Centro di gravità permanente che giustifichi la vita e spieghi La cura che ce ne prendiamo. La vita e l’arte di Battiato non hanno mai seguito percorsi rettilinei, dunque scontati, però lineari, zigzagando ovunque si manifestassero Segnali di vita da assorbire e amare perché Tutto l’universo obbedisce all’amore. Battiato non c’è più. Con lui, almeno in parte, la Musica muore.