Ci mancava anche la variante di “seconda generazione” di Omicron: sigla BA.2.75, che la cataloga come sottovariante di BA.2 ma molto più contagiosa della “genitrice” e forse anche di Omicron 5, che in questo periodo va per la maggiore e preoccupa gli scienziati. Infatti la sesta ondata di Covid è in pieno arrembaggio e sta dilagando non solo in Italia. Ieri il tasso di contagio nazionale aveva superato il 33%: un tampone positivo ogni tre a testimonianza non sindacabile dell’elevatissima infettività di Omicron 5, recente covariante del mutabilissimo Coronavirus che da quasi due anni e mezzo sta imperversando in tutto il pianeta. Pandemia, appunto. In Lombardia e nel Lecchese va appena meglio visto che i dati forniti da Regione e Ats Brianza riferiscono di percentuali di poco superiori a 26 punti e qualche decimale. E la marea virale non solo non accenna a rallentare ma sembra in fase di costante accelerazione.
Come dimostrano le cifre, fornite dalla sanità regionale, che parlano di uno scatto in avanti dei contagi parametrati su 100 rilievi: lunedì 4 luglio la percentuale di positività aveva segnalato l’asticella al 22,8%. Il giorno successivo l’indice era salito al 26,2 con un aumento netto di 3,4 punti. Mercoledì 6 luglio il parametro si è attestato su un poco confortante 25,9% con 3 nuovi ingressi in terapia intensiva e 68 nei reparti ordinari. Anche il report diffuso da Ats Brianza che fotografa la situazione settimana per settimana fino al 30 giugno scorso, non inducono a facili ottimismi come illustrano le tabelle sottostanti.
Come risulta evidente dai dati riprodotti, gli indici di contagio delle ultime settimane sono in risalita pressochè costante in tutta l’area di competenza di Ats Brianza. Lecco non costituisce un’eccezione visto che nella provincia sia le percentuali di casi totali di positività accertate (che comprendono anche eventuali reinfezioni), sia i tassi di prime positività sono in risalita dalla fine di maggio collocandosi fra il 25 e il 28 per cento. E la consolazione legata alla minore gravità degli effetti prodotti dalla variante Omicron 5 non deve indurre ad abbassare la guardia poichè di questo passo le strutture ospedaliere potrebbero tornare a soffire di sovraffollamento: è ovvio che se aumentano gli infetti aumentano anche i ricoveri. Come abbiamo rilevato all’inizio, sembra che Omicron 5 stia producendo altre covarianti già individuate in alcune aree del pianeta. Virologi e ricercatori si stanno infatti impegnando con preoccupazione attorno a BA.2.75, ultimo nato dal capostipite Omicron. Questa covariante sembra in grado di apportare numerose mutazioni alla proteina Spike di Omicron. Il virologo Tom Peacock dell’Imperial College londinese, ha riferito di averne rilevate ben 8 a carico del capside virale, il “cavallo di Troia” che il virus utilizza per accedere alle cellule infettandole. Sembra anche che BA.2.75 sia molto abile nell’eludere le difese anticorpali anche se è ancora presto per valutarne la pericolosità in termini epidemiologici.
Chi conosce l’inglese, per ottenere ulteriori informazioni, può utilmente far riferimento a questo link. Sulle misure da adottare per far fronte alla sesta ondata guidata da Omicron 5, grava dunque l’incognita mutazioni che rappresenta forse il punto interrogativo più importante per la lotta alla pandemia. Intanto il Governo, su iniziativa del ministro Speranza, sta già pensando di estendere la quarta dose di vaccino anche ai sessantenni. Nell’attesa meglio essere prudenti ed evitare assembramenti, soprattutto in ambienti chiusi e tenere a portata di naso la mascherina, preferibilmente FFP2. Insomma il mutante numero 5 di Omicron è molto più contagioso dei predecessori ma, almeno così pare, meno aggressivo. Preoccupano molto, però, le sue notevoli doti trasformistiche che in futuro potrebbero creare ulteriori problemi nella gestione, anche politica e sociale, della pandemia.