Una foto, si sa, può raccontare lunghe storie.
Può ritrarre fiori, sentieri, panorami, il sole che nasce e quello che tramonta, il lago e la montagna, un ruscello e una cascata.
Può far scendere nel vortice della nostalgia, o far sorridere, o piangere, o tutte e due le cose insieme.
Una foto è una cosa così apparentemente innocua ma che può anche far male riportando alla luce un ricordo, un momento, una persona.
Poi ci sono loro, i professionisti dell'informazione, quelli che se li tocchi scattano come serpenti, quelli che l'umiltà di riconoscere le ragioni e le opinioni degli altri non sanno nemmeno dove stia di casa.
Loro, che hanno sempre la risposta pronta e pungente; loro che ogni replica facilmente si trasforma in minaccia. Non la pensi come me? Vali poco. O niente. Al massimo un piuttosto, ma devi proprio essermi amico.
Sono professionisti e vengono da lontano. Hanno studiato e possono darti lezioni su tutto, cosa vuoi, noi siamo gente di montagna, una volta urlavamo in latinorum, un po' come quelli che cantavano le canzoni dei Beatles senza sapere una parola d'inglese ma lo facevano talmente bene che sembrava tutto vero.
Loro no, loro sanno il latino ed altre quattro o cinque lingue, compresa la loro, unica e incontestabile, che può insieme essere accusa e giudice al soldo di una legge che, però, non è uguale per tutti. Perchè ci sono gli amici intoccabili, e i nemici sulla pelle dei quali giocare.
Ma cosa c'entra la fotografia?
Una foto può raccontare, dicevamo. E qui ha raccontato, quella foto che ritrae una persona illustre scomparsa come fosse ancora ben presente, l'astio cieco che i nostri gentiluomini della tastiera nutrono verso il Sindaco e gli amministratori di un noto comune del centro valle.
Talmente cieco da non accorgersi che la persona in mezzo ai tre che quella foto ritrae ci ha lasciato nel novembre del 2019.
Eh già, una foto può raccontare davvero molte storie. E, qualche volta, anche la verità.