I silenzi sono sempre difficili da descrivere. Direi che è quasi impossibile. Anzi non si può proprio.
Provateci anche voi, se volete, e vedrete che è così.
I silenzi, però, rimangono nella memoria e la riempiono con dell'altro: sono i pensieri che nascono e molto spesso sgorgano dagli occhi.
Come lacrime.
E' successo ieri, a Cortenova, ad una umanità ferita che nel grigiore di gennaio ha riempito la Chiesa e la piazza per assistere all'ultima lezione del Beppe Piras.
E sapete cosa ho imparato?
Ho imparato, ancora una volta, che chi coltiva l'albero della bontà alla fine vince sempre.
E non importa se sei ricco o famoso, no, l'importante è regalare agli altri la propria passione, il proprio tempo, la propria vita, senza attendersi applausi, complimenti, prime pagine sui giornali, e via discorrendo.
Se poi il regalo lo fai ai più piccoli, allora tutto assume altre dimensioni e diventa una missione benedetta in tempi come quelli che stiamo vivendo.
Succede poi che te ne vai troppo presto e lasci dietro di te uno strascico di dolore ma, proprio mentre percorri il tuo ultimo miglio, riesci ancora a donare qualcosa di immensamente più grande rispetto a tutto ciò che hai donato nella tua vita, e il dolore si attenua mentre cresce nuova forza.
Sei lì, vestito con la tua tuta più preziosa e hai come compagni una maglia, un paio di guanti e una sciarpa per mostrare a tutti che il sentiero dell'umiltà, alla fine, ti porterà in un luogo dove nessuno potrà mai dimenticarti.
Infine, fatevi una domanda: quanti Beppe abbiamo intorno? Una risposta io ce l'ho: nel piccolo mondo che conosco sono tanti, e spesso non capiamo come siamo fortunati.
Questo mi ha insegnato, nel silenzio che non so descrivere, l'ultima lezione del Beppe.