Piove giallo sull’azzurro. Non mi ero ancora ripreso dal doppio trauma dell’altro giorno surrettiziamente realizzato dalla stratosferica prestazione di Gianmarco Tamberi (purtuttavia più umbro che italico) e dall’immediatamente successiva e interplanetaria impresa di Marcell Jacobs (peraltro italianissimo come americanissimo è Carl Lewis) che altro prezioso metallo si è tinto di tricolore nella vela grazie alla “coppia volante” Ruggero Tita e Caterina Banti nel Nacra 17 (qualsiasi cosa voglia dire). Profondamente scosso dalla inattesa valanga azzurra mi stavo riprendendo a fatica quando è sopraggiunta un’altra mazzata. Anzi, a ben vedere, due.
Per sciagurata responsabilità di quattro sciamannati pistard: Filippo Ganna, Francesco Lamon, Simone Consonni e Jonathan Milan. I quali non solo si erano arrogati il diritto di abbattere il precedente record mondiale dell’inseguimento a squadre nella semifinale di martedì, ma oggi hanno avuto la sfrontatezza di infrangere di bel nuovo il primato planetario della specialità e di asfaltare, per così dire all’arma bianca, i danesi campioni mondiali in carica fino a 24 ore prima. In tal modo GannaLamonConsonniMilan tuttoattaccato come in pista, ruota a filo di ruota, hanno inusitatamente sconfitto gli scandinavi due volte: la prima in semifinale con il superamento del primato mondiale detenuto dai danesi; la seconda nel confronto diretto durante l’ultima tappa della corsa all’oro.
Il quartetto azzurro si è anche dato in un certo senso i pedali (zappa mi sembra scontato) sui piedi sminuzzando il suo stesso record stabilito il giorno precedente. I quattro cavalieri azzurri sono così diventati vicecampioni di sé stessi. Paradossale paradosso destinato a rimanere a lungo negli annali del ciclismo non solo olimpico. Piove giallo sull’azzurro.
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