Nelle ultime ore, le milizie dei talebani sono entrate a Kabul. Dopo alcune settimane in cui, progressivamente, gli insorti erano riusciti a conquistare una serie importante di centri urbani, adesso i loro negoziatori stanno trattando presso il palazzo presidenziale una transizione pacifica, che riporterà l’Afghanistan alla situazione antecedente l’operazione Enduring Freedom del 2001. Dopo Kandahar, Herat, Kunduz, Mazar-i Sharif, Lashgar Gah, Bamiyan e altre zone nevralgiche, anche la capitale è quindi caduta nelle mani degli integralisti.
Esistono comprovati accertamenti dei crimini e degli assassini ordinati dal leader dei talebani, Mohammed Omar, tra il 1996 e il 2001, con il sostegno della Corte Islamica e di Dadullah, il loro comandante militare. Esecuzioni di massa e genocidi diventarono una prassi ampiamente utilizzata dal Governo instaurato da Omar. Impiccagioni, stermini, deportazioni e torture colpirono soprattutto i dissidenti e la Northern Alliance, la fazione avversa alla dittatura, i cui guerriglieri furono militarmente sconfitti. I massacri comportarono regolarmente decine, centinaia di morti.
I talebani giunsero ad occupare il 90% dell’Afghanistan e istituirono il proprio regime. I loro precetti tormentarono persino le donne. Lo stadio di Kabul fu impiegato per mostrare agli spettatori delle partite le punizioni inflitte. L’infrastruttura ellittica occupa un’ampia zona del centro urbano e si distingue dalle abitazioni. Le pareti color marmo ospitano le tribune. I crimini furono testimoniati da immagini, che presentarono i condannati, trasportati con furgoni, attaccati alle porte del campo e strangolati dalle corde, davanti agli spettatori.
All’inizio dell’autunno del 2000, i miliziani di Dadullah e Omar impiccarono due individui, colpevoli di aver svolto attentati a Kabul e di far parte delle truppe comandate da Masood. Omar firmò la loro condanna a morte. I corpi, appesi a delle gru, furono esposti nei pressi di Piazza Ariana, dove gli stessi talebani avevano ucciso il Presidente comunista Najibullah. I patiboli comparivano tra le sanzioni imposte ordinariamente nell’Emirato. Lo stadio fu usato anche per l’esecuzione di una donna, Zarmeena, nel 1999, obbligata a raggiungere il centro del terreno, giustiziata e lasciata sul campo, sdraiata. Lo stesso impianto sportivo alloggiò altre condanne a morte. Nel 1998, le mani di due ladri furono anestetizzate e tagliate nettamente, dopo la fucilazione di un individuo.
Nel 2001, prima che l’operazione Enduring Freedom destituisse la leadership di Omar, i talebani mostrarono agli abitanti di Kabul differenti impiccagioni. La loro crudeltà non si fermò alle condanne. Lo stadio ospitò spettacoli sanguinari. Le Nazioni Unite attribuirono al regime sia i massacri di Yakawlang, Robatak e Bedmishkin, dove furono rinvenute delle fosse comuni, sia le stragi operate in differenti zone attraversate dalla guerra. I talebani assediarono il centro urbano di Herat nel 1995. La resistenza si piegò. Eliminazioni, esecuzioni e impiccagioni diventarono abituali.
Fino al 2000, i prigionieri furono torturati e uccisi. I loro cadaveri restarono ai bordi delle strade. La fine della dittatura non interruppe i crimini di guerra. Nel 2004, la provincia di Farah osservò le forche delle milizie statali. La prassi delle impiccagioni, d’altronde, era stata introdotta anche dal Governo di Rabbani e le azioni della stessa Alleanza del Nord non differirono molto dai modi utilizzati da Omar e dagli altri talebani, la cui presenza in Pakistan e in Afghanistan è ribadita.
(Alessandro Ceresa attualmente gestisce uno studio da commercialista, ha collaborato negli anni 1999-2001 con l`Organizzazione RAWA.ORG)