Notizie abbastanza positive sul fronte pandemico. Ieri nel Lecchese si sono verificati solo 10 nuovi contagi, contro i 374 rilevati in tutta la regione; vale a dire che la percentuale dei soggetti risultati positivi in Lombardia è pari al 1,1% dei tamponi effettuati. Nel Lecchese, martedì 17 giugno, sono stati rilevati 2 decessi, mentre i ricoveri in terapia intensiva sono passati da 40 a 39 mentre 10 persone sono risultate positive al test: cifra piuttosto modesta ma che non va sottovalutata. Abbassare la guardia può essere molto pericoloso. In Valsassina ha conosciuto inoltre un buon successo l’iniziativa dell’Areu grazie alla quale, come abbiamo già riferito, 120 persone si sono sottoposte alla vaccinazione anticovid 19.
A proposito di covid 19 e coronavirus ci sembra opportuno introdurre una distinzione apparentemente di poco conto ma in realtà significativa. Coronavirus e covid NON SONO la stessa cosa. Comunemente, anche nei titoli e negli articoli di giornale, per fretta o esigenza di sintesi, si fa spesso confusione fra i due termini che in realtà indicano situazioni molto diverse fra loro. Come è ben chiarito sul sito del Governo dove si spiega che “La sindrome respiratoria acuta grave Coronavirus-2 (SARS-CoV-2) è il nome dato al nuovo coronavirus del 2019. COVID-19 è il nome dato alla malattia associata al virus”. La differenza non è banale perché distingue i soggetti asintomatici ma contagiati dal virus, da quelli che manifestano sintomi patologici più o meno gravi e che hanno quindi contratto la malattia. Dunque risultare positivi al tampone o ad altre metodologie di ricerca virale non significa necessariamente essere malati. Proprio come accade per il virus dell’HIV la cui presenza (sieropositività) è altra cosa rispetto all’Aids conclamato. Dunque la presenza del coronavirus nel nostro organismo non coincide sempre con la patologia provocata dal virione.
La vaccinazione ha in effetti un duplice scopo: ridurre in qualche misura la capacità del microorganismo di “far ammalare” (attenuando inoltre la gravità dell’eventuale patologia) e di diminuirne la contagiosità. Insomma, Pfizer, Johnson & Johnson o Astrazeneca che sia, con l’inoculazione corriamo molti meno rischi di ammalarci e di finire in terapia intensiva. Occorre segnalare però che, per quanto attiene alla cosiddetta variante Delta, pare accertato che i vaccini, pur conservando grande efficacia nella riduzione dei ricoveri e della gravità dei sintomi, sono meno attivi sotto il profilo dell’infettività. Sembra accertato infatti che la Delta risulti molto più contagiosa e che comunque anche i vaccinati possano costituire un veicolo di trasmissione (anche se in qualche misura depotenziato) del virus. Il vaccino quindi protegge molto bene il vaccinato ma non del tutto chi non lo è.
Anche per queste ragioni, vaccinati o no, è opportuno non abbassare mai la guardia e osservare le consuete misure di prevenzione del contagio: mascherine, niente assembramenti, lavaggio frequente delle mani e sanificazione delle superfici con le quali veniamo a contatto. Il tanto contestato green pass, pur non esente da problemi di gestione complessiva, serve proprio a questo: evitare il contatto fra vaccinati e non vaccinati in ambienti chiusi o affollati, a tutto vantaggio di chi il vaccino non ha voluto o potuto riceverlo.
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