Il Covid 19 non molla. Almeno non ancora. E anche in Lombardia i dati diffusi dal Ministero della Salute sono preoccupanti anche se non disastrosi. Ieri, giovedì 20 gennaio, sono stati 33.676 i nuovi casi di contagio registrati sulla base di 153.143 tamponi. I pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva sono 3719 (+ 41 rispetto a mercoledì) mentre la provincia di Lecco fa registrare 1025 casi di positività in più una delle cifre più basse rispetto alle altre province lombarde. Ma da noi, nel Lecchese, la situazione sembra meno grave che altrove. Lo confermano i dati rilasciati quotidianamente dalla Regione secondo i quali nel Lecchese il tasso di positività è passato dal 24,9% del 7 gennaio al 21,9 di ieri, 20 gennaio. Anche se, va sottolineato a scanso di improvvidi ottimismi, che negli ultimi tre giorni si è assistito ad una decisa tendenza alla risalita della curva dei contagi transitata dall’11,8 % di martedì, al 16,3 di mercoledì, a quasi il 25 per cento di ieri. Con un incremento anche dei ricoveri: +6 in terapia intensiva e +41 negli altri reparti Covid. E tutti sono in ansiosa attesa del “picco che verrà”.
Ma anche e soprattutto in materia di pandemia, come spesso accade, i numeri non dicono tutto. Come dimostrano le stime legate al numero di decessi da Covid nel mondo che forniscono responsi in larga misura sorprendenti. Infatti, a detta dell’autorevolissima Nature, in pratica il Vangelo delle riviste scientifiche (“forse in assoluto quella considerata di maggior prestigio nell'ambito della comunità scientifica internazionale” come spiega Wikipedia), le valutazioni “ufficiali” sarebbero molto approssimate per difetto. Insomma, le cifre riportate a proposito dei morti da coronavirus potrebbero essere molto inferiori alla realtà a causa di una serie di problemi pratici legati in particolare alla frammentarietà e scarsa attendibilità delle tecniche di rilevamento e trasmissione dei dati. A questo proposito, secondo Nature, i Paesi del pianeta Terra possono essere divisi in due gruppi: quelli che hanno avuto tanti morti e quelli che non hanno saputo contarli con accettabile affidabilità. Per questo (e per altri motivi) i numeri che emergono dal cosiddetto “dataset” contenente i dati sui decessi per Covid 19 delle 116 nazioni del mondo prese in esame sono scarsamente indicativi.
Secondo i dati ufficiali, infatti, i decessi globali nel mondo dall’inizio della pandemia ammonterebbero a 5,5 milioni mentre le stime prodotte da alcuni modelli elaborati da altri gruppi di ricercatori si collocano fra i 17 e i 22 milioni. La differenza è gigantesca: quattro volte la stima “ufficiale”.
FONTE. Il grafico riporta i decessi rilevati (aree blu) e i dati stimati relativi all’eccesso di mortalità (aree arancioni) in diverse nazioni.
Ma non è tutto. Alcuni sostengono che le difficoltà nella raccolta dei dati sui decessi dipendono soprattutto dalle condizioni economiche e dall’arretratezza dei Paesi esaminati. Sembra proprio che non sia così. È sempre il servizio pubblicato su Nature a chiarire i termini del problema: il grafico che segue dimostra, come si può notare, che la ricchezza o la povertà dei singoli Paesi non determina l’attendibilità né la completezza delle cifre fornite. Nel pannello in alto a sinistra sono rappresentati i Paesi più ricchi; in quello in basso a destra i Paesi più poveri. L’area arancione chiara ai lati della curva rappresenta il cosiddetto “intervallo di confidenza”, vale a dire il margine superiore e inferiore di affidabilità (approssimazione) del grafico che in questo caso raggiunge il 95%.
Come si vede l’andamento della curva è molto simile in entrambi i casi: fra ricchi e poveri la differenza è minima. A conferma che la stima finora stabilita di 5,5 milioni di decessi globali è decisamente sottostimata. Va comunque osservato che a causa dei differenti metodi di rilevazione da un Paese all’altro i risultati potrebbero differire anche notevolmente. Ma la valutazione complessiva resta invariata: probabilmente abbiamo sbagliato a contare e a stimare (per difetto) i morti provocati dalla pandemia di Covid 19.