Impossibile sbagliare. Anche in assenza di qualsiasi indicazione cartellonistica la sagoma imponente dei due gazebo bianchi si staglia nitida all’orizzonte, sulla sinistra, davanti al capannone. La struttura per la vaccinazione anti covid predisposta a Prato Buscante nell’area della Comunità Montana, è ben visibile già prima della rotonda di Pasturo. Il tunnel costituito dai due tendoni che conducono all’ingresso dell’area vaccinale è pavimentato con piastrelle ad incastro autobloccanti che scricchiolano ad ogni passo. Appena davanti all’edificio un’infermiera mi punta una pistola alla fronte. Alzo le mani. Lei ride e mi rassicura: “È solo un termometro.” Tre secondi e ho il via libera.
Subito vengo accolto da un volontario della protezione civile che mi chiede di sanificare le mani col gel, di strappare il tagliando con il numero progressivo (proprio come al supermercato quando c’è molta gente) e mi indirizza a sinistra verso un’operatrice dotata di mascherina, camice e computer, alla quale fornisco i dati necessari. Sono le 14.20. L’appuntamento con la siringa è fissato per le 14.35. Così mi siedo a distanza di sicurezza da altri vaccinandi. Saremo una quindicina in tutto nell’ampio capannone: nessun assembramento, distanze rispettatissime. L’attesa non è lunga. Nel frattempo inizio a star scomodo sulla sedia. Forse sono un pochino preoccupato. Nonostante le probabilità siano quasi inesistenti, il battage multimediatico sugli effetti collaterali del vaccino stanno forse facendo effetto. Spero, mi sussurro, che lo faccia anche il farmaco. Davanti a me, dietro quattro scrivanie bianchissime, attendono altrettanti medici che inseriscono nel pc i dati dei pazienti. Ho il tagliando numero 66 e stanno vaccinando il titolare del tagliando 54. Ma le operazioni procedono spedite.
Altre persone entrano nel capannone e si accomodano sule sedie libere. Una signora dai capelli fucsia dice alla sua vicina (ma non troppo) di sedia che “Preferisco farmi fare l’Austria Zenga, però anche il Bizzer va bene”. Non riesco a decifrare la replica dell’interlocutrice. Il volontario in tuta verde fluo grida: “Numero 57”. Un signore col cappello si alza e tenta di entrare al reparto vaccini senza passare dal medico. Il volontario verde fluo lo placca e molto gentilmente lo accompagna alla scrivania. Trascorrono dieci minuti e arriva il mio turno. Il medico scorre rapidamente il questionario che ho preventivamente compilato, picchietta qualche cosa sulla tastiera e mi spiega rapidamente il meccanismo di funzionamento del vaccino. Mi aspettavo Astra Zeneca e invece mi rifilano Pfizer. Vabbé, uno vale l’altro. Almeno spero. L’importante è che l’intruglio svolga il suo compito. Mi indicano uno dei quattro reparti adibiti allo scopo e mi infilo nel separé dove mi attende un’operatrice sanitaria. Le chiedo se posso scegliere la marca del vaccino. Intuisco sotto la sua FFP2 (o FPP2?) un sorrisetto. Anche gli occhi le sorridono: “No, però può scegliere su quale braccio farsi vaccinare”. Capito. Un ago sottilissimo si infila nel muscolo, poco sotto la spalla sinistra e nel giro di due o tre minuti tutto è finito: vaccinato! Sono le 14.41: ventun minuti in tutto. E tutti sono stati efficienti, cortesi e puntuali. Passo in sala d’attesa per altri dieci minuti e sono libero. Ci vediamo per la seconda dose il 17 maggio.
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