Si fa largo in queste settimane la chiamata per imprenditori e amministratori ad unirsi sotto il vessillo della CerBa, la Comunità Energetica di Barzio, messa in pista dal Comune di Barzio (amministrazione dell’ex sindaco Arrigoni Battaia) insieme ad Acinque, nota multiutility lombarda. 20mila euro l'investimento del Comune per avviare la macchina, o come piace definirla ad Arrigoni Battaia, un treno in corsa da prendere prima che passi per sempre.
Ed è un treno che corre veloce se consideriamo l’insistenza di questa campagna reclutamenti.
Ho partecipato, da assessore di una nuova amministrazione in dovere di comprendere un tema che vede il mio Comune attore principale, ad entrambi gli eventi organizzati per presentare la CerBa. Di fronte agli imprenditori della valle ho assistito alla richiesta - martellante - di tetti. Tetti su cui impiantare pannelli e produrre energia. Tetti da cedere, possibilmente. Così come l'energia, da mettere in circuito. Ai sindaci la richiesta non si è discostata di molto: tetti per impianti, energia da vendere.
In entrambi i casi la spinta propulsiva era la fretta. Un treno - si diceva - in corsa e che non può rallentare. Perché sono imminenti le scadenze per accedere ai fondi Pnrr.
Ma se un imprenditore del suo tetto può fare ciò che vuole, e può decidere in che modo destinare l'energia prodotta, un amministratore pubblico dovrebbe operare nell'interesse della sua Comunità. Un sindaco, prima di procacciare tetti ben esposti conto terzi, dovrebbe considerare le ricadute positive di questi interventi sul suo paese.
E non se ne è capito molto. Ci hanno detto che si alleggeriranno le bollette dei "poveri energetici", una categoria tutta da definire.
Arrivati a questo punto però ci si accorge che la CerBa paga una grave mancanza. Ricordo che parliamo di Comunità Energetica: se i tetti sono i luoghi dell’energia, dove è lo spazio per la Comunità?
Quali sono le ricadute sui cittadini? Quali vantaggi sociali? Come è strutturata la condivisione locale dell'energia prima che venga immessa sul mercato? Dove si posizionano in questo schema i piccoli produttori domestici? Insomma: cosa resta alla Comunità?
Al vertice del sistema c'è la CerBa, una associazione non riconosciuta, istituita lo scorso aprile da un pugno di soci con la dichiarata fretta dettata dal mantra del treno da non perdere.
Ai sindaci si chiede di aderire alla CerBa con un atto di fiducia. Nel concreto una delega in bianco che demanda la direzione politica della Comunità Energetica al direttivo dell'associazione. Un gruppo ristretto di cui non è dato conoscere composizione né soprattutto competenze specifiche. Per il resto ci sono Acinque e i fondi del Pnrr.
Più avanti, è stato assicurato, ogni socio varrà uno e in assemblea potrà far valere la propria voce.
Ma non può essere "più avanti". I sindaci non possono entrare a giochi in corso, accettando al buio condizioni dettate (in partenza e in futuro) da non-è-ben-chiaro-chi. Al contrario, il pilastro portante della Comunità energetica, se di Comunità si vuol parlare, deve essere una rappresentanza dei Comuni soci. Regole e requisiti vanno discussi tra gli amministratori che credono al progetto, e perché no anche con gli imprenditori altrettanto convinti.
Per questo ritengo occorra un patto sociale. Fin da subito. Un accordo che impegni la CerBa ad adeguarsi immediatamente al cambiamento che vorrebbe portare al territorio. Solo così si potrà dare rilevanza alle esigenze dei Comuni e dei cittadini. Una direzione autorevole che possa stabilire con trasparenza le regole della CerBa, le finalità da raggiungere, e nel concreto quanta parte dell'energia prodotta vada a effettivo sostegno della Comunità e quanta invece possa venir destinata ad arricchire una multiutility.
Se il treno va preso in corsa, ai sindaci spetta un posto sulla locomotiva. Oppure è meglio spostarsi dai binari.