Ecco fatto. Sono ancora vivo. Questo però me lo aspettavo. Anche se a dare ascolto alle verità internettiane il rischio è dietro l’angolo. E poi chissà cosa ci mettono nei vaccini. Magari pezzi di DNA modificato per farci diventare OGM come le patate e i pomodori. Dal mercurio a pezzetti di feti morti, c’è dentro di tutto. Magari anche qualche chip per controllarci come il Grande fratello. Parola di Facebook. Mai fidarsi di Big Pharma e nemmeno di Bill Gates, il grande burattinaio che tira i fili del pianeta. Comunque ieri pomeriggio mi sono fatto il “richiamo”, meglio noto come seconda dose. Lo ammetto: sono un sì vax convinto. Non per ideologia ma per semplici considerazioni statistiche. E poi, anche a causa dell’età, sono un vaccinatore seriale. Da 25 anni, ad ogni fine autunno mi auto inietto la dose canonica del solito intruglio antiinfluenzale. Mai più avuti febbre, mal di ossa o altri disturbi riconducibili a qualche virus incoronato o no. Ad ogni modo ieri mi sono presentato al centro vaccinale (avrei potuto chiamarlo hub ma mi suonava strano) di Prato Buscante, come da appuntamento, alle 14.45 precise.
Solito termometro alla fronte come previsto. Il volontario in apposita tuta fluorescente è formalmente ineccepibile: “Vada pure dentro a sinistra. Ma prima si sanifichi le mani col gel.” Piccolo attacco di panico. È che non so dove mettere il foglio della prenotazione, la tessera sanitaria e la carta di identità che avevo già pronte in mano. Opto per una soluzione estemporanea anche se piuttosto volgare: infilo tutto fra i denti e mi avvicino all’erogatore. Santa tecnologia! Basta avvicinare la mano al fondo del piccolo recipiente e… split, uno schizzo di budino trasparente si raggruma sulla mano. È appiccicoso e freddo. Il termine gel deriva da gelido? Due minuti più tardi sono seduto davanti ai cinque “reparti” al cui interno si praticano le iniezioni. Il mio tagliando riporta il numero 68. Il residuo di gel sulle dita l’ha fatto diventare semitrasparente, sembra di carta velina. Ma il numero si riesce a leggere lo stesso. E il display a led rossi sulla parete è fermo sul 66. Nessuna lunga attesa. Nessuna coda. I volontari che gestiscono l’accesso ai separé sono pressoché disoccupati. Meglio così. L’attesa è brevissima.
È un medico (credo) che mi somministra la seconda rata dello Pfizer: “La prima volta ha avuto qualche problema? Dolori muscolari, spossatezza, febbre?” Risposta negativa. Cotone idrofilo imbevuto di alcool, sfregamento, siringa, ago e zac! Fatto. Nuovo sfregamento disinfettante e vengo cortesemente congedato. La “sala di decantazione” è affollata. Quasi tutte le sedie (rigorosamente distanziate) sono occupate da chi mi ha preceduto e sta in attesa che passi il canonico quarto d’ora prima di andarsene. Sono impaziente. Dieci minuti dovrebbero essere sufficienti. Mi alzo ed esco. Mi sembra di avvertire un leggero dolore alla spalla destra. Pfizer starà già facendo effetto? Ma va là! Però stasera dopo cena magari una cardioaspirina...