Tutte le rivoluzioni anteriori
non fecero che perfezionare
la macchina dello Stato…
Vladimir Ilič “Lenin”, “Stato e rivoluzione”
Non è, quello compiuto da Ernesto Guevara de la Serna detto “Che”, soltanto, né soprattutto “…un segmento di due vite raccontate nel momento in cui hanno percorso insieme un determinato tratto con la stessa identità di aspirazioni e sogni.” In questo, almeno, il “Che grande” ci ha mentito.
La “Poderosa” impresa di Ernesto e Alberto è certamente anche un itinerario avventuroso e difficile di due amici attraverso un continente immenso. Ma è anche molto di più. Si tratta di un’impresa personale e collettiva del figlio di una terra, di un popolo, di una “nazione” lungo i sentieri della politica, del lavoro, della storia. Una storia che, attraverso occhi acuti che già vedono profeticamente la fine del percorso, di quell’altro itinerario che si chiama vita, diventa strumento di crescita umana e formazione personale. Il racconto del grande viaggio motociclistico di Ernesto e Alberto è diario di bordo, racconto di avventura e, a modo suo, romanzo di formazione. Ma non descrive il percorso della vita di un uomo bensì la nascita di un popolo che altri popoli hanno frantumato in mille razze disperse, spesso contrapposte. Quasi sempre nel nome di un Dio lontanissimo, incomprensibile e crudele. Sempre in nome di quel Dio la cui invocazione campeggia indecente sulle banconote verdi dell’altra America, dal potere quasi assoluto.
Si procede da sud a nord, in sella alla “Poderosa” monocilindrica, accompagnati da una prosa scorrevole e descrittivamente meticolosa che, mentre metabolizza la storia lungo un percorso orizzontale, si immerge perfettamente verticale in profondità fino a toccare radici nascoste e lontane di una civiltà oggi quasi irriconoscibile se si pensa all’antica grandezza. Tuttavia unica.
Il “discorso del lebbrosario” costituisce premessa e conclusione insieme del credo guevariano: “Costituiamo una sola razza meticcia che dal Messico fino allo stretto di Magellano presenta notevoli similitudini etniche. Per questo (…) brindo al Perù e all’America Unita.” Panamericanismo: il sogno del Che, la sua vita, il futuro suo e del “suo popolo”, la sua morte.
Le parole dello sconosciuto incontrato in un villaggio di montagna rappresentano infine un proclama, un manifesto e un testamento che descrive con impressionante e chiara consapevolezza il suo destino e quello di tutte le rivoluzioni destinate fatalmente a fermarsi per consolidare il terreno conquistato con il sangue del popolo e, proprio per questo, immediatamente a soccombere trasformandosi in controrivoluzione. Il Che sa benissimo che tutti coloro che hanno lottato e sofferto per l’ideale rivoluzionario “…moriranno maledicendo il potere che hanno contribuito a creare con il proprio sacrificio a volte immenso.”
Il giovane Ernesto Guevara de la Serna è lucido profeta di sé stesso. Vede con chiarezza la propria morte. Annuncia in termini assolutamente inequivocabili che morirà “… con il pugno chiuso e la mascella serrata, in una perfetta rappresentazione dell’odio e della lotta…” Il Che sa anche che questo, non altro, è il destino di tutti i rivoluzionari. Quelli veri, però. Un destino utilissimo, quasi indispensabile “…alla stessa società che lo sacrifica”. La rivoluzione divora sempre i suoi figli. Il Che grande, alla fine del viaggio, si vede “…cadere immolato per l’autentica rivoluzione uniformatrice di volontà, pronunciando un mea culpa esemplare.” Ricordate? “Fate questo in memoria di me”. Ogni epoca, ogni rivoluzione, porta con sé una croce.