Lei procedeva lentamente, ondeggiando sinuosa e indifferente sull’asfalto ancora umido per la pioggia notturna. Inatteso slow motion naturale di lucidissimo nero, interrotto qua e là da macchie frastagliate giallo cromo. Ce ne sono (le ho viste) anche chiazzate di rosso vivo, ma, almeno qui da noi, sono molto rare.
L’incontro è avvenuto lungo la ciclabile, poco prima dello Sprizzottolo. La cascata era gonfia e rumorosa. Appena oltre la striscia bianca che segna il limite della carreggiata, piccoli petali bianchi annunciavano e annunciano tuttora le prossime fragoline selvatiche: majoste in vernacolo locale. Infatti siamo in maggio. Lei sembrava tranquilla e con tutta evidenza mi ignorava. L’ho seguita per qualche decina di secondi. L’ho sfiorata con un dito: era fredda e “gommosa”. Ma se ne incontrate una non prendetela in mano: le sue ghiandole cutanee secernono una sostanza urticante.
Al tocco si è fermata ma subito è ripartita verso il bosco. Poi è scomparsa fra foglie e rovi. Secondo la mitologia celtica le salamandre appartenevano all’elemento igneo del mondo. Un tempo, infatti, si credeva che fossero in grado di sopravvivere al fuoco. Spiega Plinio il vecchio, nella sua “Naturalis historia” che sono talmente ghiacciate che le fiamme non riescono ad aggredirle. Ma il progresso e la tecnica sono potenti e inarrestabili. Oggi le salamandre muoiono sotto gli pneumatici delle automobili e le ruote “grasse” delle mountain bikes.