Ho letto con attenzione e apprezzato l’intervento di Enrico Baroncelli sull'ingegnerizzazione della politica. Emanuele Severino e Umberto Galimberti hanno qualche ragione: la tecnica sta fagocitando politica, ideologie, umanismo, società, economia. Tutto, insomma. Anche se, fra i nomi citati da Baroncelli, tecnicamente (pardon) parlando non figura nessun ingegnere. Però il problema esiste e un tempo si chiamava realpolitik: il fine giustifica sempre i mezzi. O altrimenti, banalizzando, si fa quel che si può.
Insomma non siamo più noi, non è più la POLITICA, tutto in lettere maiuscole, a guidare lo sviluppo della società, a cambiare la realtà, ma sono le circostanze di fatto, un presente che dipende sempre meno da noi, a preparare il nostro futuro. Qualcuno, molti eoni fa, denunciava il capitale e la sua legge sotterranea (ma non troppo) tesa all’espansione incontrollata e incontrollabile del massimo profitto. Tutto è mosso e guidato dall’economia, diceva. Anche la politica. Lui, Marx, forse non lo sapeva, ma stava parlando della struttura tecnica del mondo che oggi è governato con sempre maggior efficacia ed efficienza dagli (non con gli) strumenti della tecnologia ai quali facciamo ricorso con parossistica e forse inevitabile frequenza.
La pandemia insegna. Gli interventi della politica per fermare il virus sono fin dall’inizio costretti ad adeguarsi alle esigenze della ricerca scientifica, non a orientarla, a guidarla. Le ideologie, se non sono morte, sono in stato preagonico. Per questo la politica, sfibrato residuo della tecnica regina (basiliké techne) platonica, si muove con difficoltà in un universo che sempre meno le appartiene. Certo, se si vuole combattere la diffusione del covid e della sua incontrollata espansione è necessario ricorrere agli strumenti che la tecnica mette a nostra disposizione. Ma non si dimentichi che è proprio la tecnica e la sua planetaria diffusione e applicazione ad aver prodotto il fenomeno. Ad aver trasformato alcuni focolai epidemici nell’incendio pandemico che sta dilagando nel globo. L’estrema mobilità delle merci e delle persone, da un paio di secoli a questa parte, è dovuta proprio ai “progressi” tecnologici che hanno imposto la cosiddetta globalizzazione. La quale, lo ripeteremo all’infinito, non è un atto ma un fatto.
L’uomo produce atti. La tecnica genera solo fatti anche se l’elemento umano e la sua capacità di progetto e di controllo diventa sempre più residuale perché, spiega Galimberti, “gli uomini oggi hanno a che fare in primo luogo con un mondo di cose e di apparati tecnici nel quale esistono anche altri uomini e non con un mondo umano in cui esistono anche cose e apparati” (U. Galimberti, “Psiche e techne - L’uomo nell’età della tecnica”; pag. 598. Feltrinelli/saggi, Milano 2019). In un universo nel quale la politica non è più il luogo delle decisioni e le ideologie, la capacità di indicare e progettare obiettivi socialmente validi, indirizzi umanizzanti, ideali condivisibili da proporre e perseguire, vengono sostituiti da “valori” quantitativi di calcolabilità, efficacia, espansività produttiva, efficienza. I mezzi (la tecnica) stanno sostituendo radicalmente i fini. I fini siamo (eravamo) noi.