Fa purtroppo riflettere il caso ormai noto della Gimap di Premana, a cui sono state inizialmente bloccate dalla Dogana 126.000 paia di forbici provenienti dalla Cina. Non vogliamo mettere in dubbio quanto affermato dai responsabili Gimap, ma alcune considerazioni sono inevitabili.
Più di una ventina di anni fa, era circa la metà degli anni '90, quando ancora in Italia non eravamo in molti a occuparci di Internet, avvisavo il Consorzio Premanese che in Pakistan producevano grandi quantità di forbici che costavano un decimo di quelle che arrivavano dalla Val Varrone. Di più bassa qualità ? Di inferiore lega metallica ? Sicuramente: ma a me consumatore interessa una cosa sola, e cioè che le forbici taglino !
Il vero problema della produzione industriale italiana di oggi si può definire con solo due parole: "Valore Aggiunto" (da cui anche il nome dell'imposta IVA). La Confindustria giustamente da molti anni ha fatto centinaia di convegni su questo argomento.
A partire dagli anni Sessanta, l'epoca del felice "boom" economico italiano, moltissime imprese sono state fondate da un papà che metteva al torchio, al telaio o al laminatoio la propria famiglia, zii e cugini compresi, per iniziare l'attività imprenditoriale.
Erano attività, per il 90% , a "basso valore aggiunto": magliettine e t-shirt, scarpe , indumenti, minuterie metalliche e altri oggetti per il pubblico.
Bastava poco, all'epoca , e si sono creati interi distretti industriali (come ad esempio quello tessile di Prato).
Poi è arrivato il XXI secolo, e con esso la più ampia apertura dei mercati e la temibile concorrenza sia dall'Est Europa che cinese, soprattutto per il baso costo della manodopera , a cui purtroppo molti imprenditori italiani non hanno saputo resistere, trasportando all'estero la propria attività.
Se all'inizio però il termine "cinesata" aveva un valore dispregiativo, indicando un oggetto di scarso valore aggiunto (cosa che però non ha impedito ai Cinesi di distruggerci la produzione autoctona soprattutto nel tessile, di cui sopra) oggi le cose non stanno più così.
Anche se i livelli dei salari degli operai cinesi ancora sono più bassi di quelli italiani, a partire da una quindicina d'anni la produzione cinese ha fatto dei passi da gigante (come bene illustra nei suoi libri Federico Rampini, esperto conoscitore dell'Estremo Oriente).
Lo vediamo per esempio anche nel campo delle moto: se prima i Cinesi si limitavano a copiare dagli Occidentali o dai Giapponesi, adesso sono in grado di produrre veicoli di ottima qualità (penso a CF Moto e a Voge, ad esempio).
Ma sicuramente anche in molti altri campi. Quale la risposta quindi da dare a queste nuove "sfide" ? O arrendersi (ma non è una ipotesi plausibile) o migliorare la propria "qualità". Aumentare il tasso di "Valore Aggiunto" cioè: migliorare il prodotto (funziona nel campo della moda) aumentare il livello di qualità (un esempio encomiabile la Gilardoni di Mandello) passare cioè dal "Basso" all'"Alto Valore Aggiunto". E' difficile, è molto difficile, anche perchè ci vogliono investimenti e potenziare la strada della Ricerca, e quindi reinvestire quasi tutto l'utile operativo, altrimenti non se ne esce.
E' l'unica strada ( e lo dice la Confindustria, non il sottoscritto) se non vogliamo trasformarci da paese di produttori a paese di meri consumatori, e quindi impoverirci tutti. Le strade facili, purtroppo, non ci sono più !