“La determinazione del salario deve continuare ad essere affrontata dalla contrattazione collettiva, per non compromettere il delicato equilibrio fra retribuzione, tutele contrattuali e competitività delle imprese che in Italia è garantito da oltre 70 anni da una contrattazione di qualità, estremamente diffusa, con un livello di copertura che non ha nessun altro Paese europeo”.
Infatti secondo un recente studio di Adapt, sui quasi mille CCNL depositati al Cnel meno della metà risulta effettivamente applicata e i soli CCNL sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil coprono il 97% dei lavoratori.
Il Presidente di Confartigianato Imprese Lecco, Daniele Riva è critico su interventi pubblici vincolanti in materia salariale. “L’introduzione di un salario minimo legale – sottolinea – è improponibile poiché, nel caso in cui fosse inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi ne provocherebbe la disapplicazione e, nel caso in cui fosse più alto, si creerebbe uno squilibrio nella rinegoziazione degli aumenti salariali con incrementi del costo del lavoro non giustificati dall’andamento dell’azienda o del settore”.
“La contrattazione collettiva – spiega Riva – garantisce già condizioni e strumenti per sostenere i redditi e individuare modalità per migliorare la produttività. La fissazione ex lege del salario sminuirebbe il ruolo svolto dalla negoziazione tra le parti sociali per l’individuazione di trattamenti economici congrui e coerenti, rischiando di colpire anche le tutele collettive e i sistemi di welfare integrativi. Un patrimonio che in questa fase difficile sta offrendo un utile supporto ai lavoratori ed alle imprese, soprattutto in quei territori dove il welfare pubblico è carente se non assente del tutto”.
“Nell’artigianato e nelle piccole imprese – conclude Riva – la contrattazione collettiva definita dalle Organizzazioni più rappresentative, come la Confartigianato, oltre a determinare salari rispettosi dell’art. 36 della Costituzione, è anche lo strumento che ha consentito di individuare soluzioni su misura per le esigenze organizzative e di flessibilità di imprese appartenenti a settori e con mercati spesso estremamente diversi fra di loro , assicurando, nel contempo, importanti tutele collettive ai lavoratori, anche attraverso il proprio consolidato sistema di bilateralità”.
Peraltro, la stessa Commissione europea, che invita i Paese membri a promuovere salari “adeguati ed equi”, valorizza la contrattazione collettiva quale strumento per combattere la povertà lavorativa e migliorare le condizioni di lavoro.
L’introduzione del salario minimo in Italia, diversamente a quello che si vorrebbe far credere, ridurre infatti proprio le tutele contrattuali dei lavoratori e, per quanto concerne i working poor, avrebbe l’effetto di marginalizzare anche i lavoratori a basso salario relegandoli, nella migliore delle ipotesi, a percepire solo il minimo senza ulteriori tutele, e nella peggiore a trasformarli in disoccupati o in lavoratori in nero.
Il tema della crescita dei salari in Italia resta invece fortemente legato a quello della crescita del PIL, rimasta al palo a causa delle gravi inefficienze strutturali del nostro Paese, dell’elevato costo del lavoro, del gap di competitività con le imprese di altri Stati determinato, ad esempio, dal superiore costo dell’energia, dalle politiche di rigorosa austerity che hanno portato ad una consistente riduzione della buona spesa pubblica e degli investimenti pubblici.