In vista delle elezioni del 25 settembre prossimo, le forze politiche stanno ultimando la stesura dei loro programmi, in cui trovano spazio proposte e promesse in ambiti quali lavoro, fisco e previdenza. La CGIL ha posizioni chiare in merito a questi temi, e porta avanti rivendicazioni in direzione di una maggiore giustizia sociale e di un generale miglioramento delle condizioni di vita per lavoratrici, lavoratori e i pensionati.
Per quanto riguarda il lavoro l’azione più urgente è la lotta al precariato, che va affrontato rendendo nuovamente il contratto a tempo indeterminato la forma contrattuale standard e partendo dall’abolizione del Jobs Act, su cui la Consulta ha rilevato diversi profili di incostituzionalità. In questo senso da guardare con molta attenzione è la recente riforma del mercato del lavoro approvata in Spagna, che limita l’uso del contratto a termine solo per circostanze straordinarie legate a picchi di produzione e per la temporanea sostituzione del lavoratore. Storica rivendicazione sindacale è poi la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, obiettivo strategico e tanto più alla portata grazie al progressivo processo di innovazione tecnologica, che permette al contempo la liberazione di spazi di vita per i lavoratori e l’adeguamento del sistema produttivo alle esigenze della transizione ecologica, non più rinviabile. Guardiamo con favore all’introduzione di un salario minimo legale, che sia collegato al riconoscimento del valore erga omnes dei contratti collettivi nazionali e a una legge sulla rappresentanza.
In tema fiscale la stella polare rimane l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui il sistema tributario è vincolato a criteri di progressività. Lo scorso 16 dicembre abbiamo proclamato, insieme alla UIL, uno sciopero generale contro una legge di bilancio che prevedeva una riforma del fisco iniqua, in quanto riduceva le aliquote Irpef da 5 a 4 a vantaggio dei redditi più alti. Alcune forze politiche ripropongono ora la flat tax, un’imposta con aliquota proporzionale uguale per tutti, basata sui redditi dei nuclei familiari e non più personali. Siamo chiaramente contrari a un’ipotesi del genere, che oltre a essere ingiusta perché mette sullo stesso piano ricchi e poveri, negando così qualsiasi forma di progressività, comporterebbe anche una drastica riduzione del gettito fiscale, che andrebbe compensato con pesanti tagli alla spesa pubblica.
Nel caso di una flat tax al 15%, ad esempio, i calcoli mostrano che si avrebbe un calo nelle entrate di quasi 60 miliardi rispetto a quelle attuali ottenute con l’Irpef, a fronte di un risparmio medio annuo per famiglia pari a soli 24 euro per il primo decile di reddito (chi guadagna meno nella distribuzione nazionale del reddito) e a 12215 euro per il decimo decile: in altre parole, i più poveri avrebbero un risparmio dello 0,7%, mentre i più ricchi del 14,3%. Non è accettabile, dunque, una generalizzata riduzione delle imposte sul reddito, perché l’aliquota di tassazione deve essere correlata alla salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone, messi in pericolo dal ridimensionamento dei servizi pubblici in mancanza di entrate sufficienti. Per la stessa ragione non crediamo che la strada intrapresa nella sfera della riduzione del cuneo fiscale sia sufficiente a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori. Serve inoltre maggiore trasparenza per capire dove, a fronte di un aumento del salario netto in busta paga, si dovranno reperire le risorse compensative.
In merito al sistema pensionistico (Riforma Fornero) occorre dire che esso non è socialmente sostenibile, perché rimanendo al lavoro oltre certi limiti di età si mette a rischio la propria incolumità, con conseguenze drammatiche in termini di infortuni sul luogo di lavoro (dai dati emerge che è l’incidenza di mortalità più alta rispetto al numero di occupati per fascia d’età riguarda i lavoratori over 65), dall’altra rappresenta un forte ostacolo al ricambio generazionale. È necessario prima di tutto superare le storture introdotte dalla Legge Fornero, non con provvedimenti temporanei e marginali come “Quota 100”, che ha interessato un numero di lavoratori molto inferiore a quello previsto, ma riformando complessivamente il sistema, prevedendo il pensionamento con 41 anni di contribuzione per tutti a prescindere dall’età e una flessibilità in uscita (pensione di vecchiaia) a partire da 62 anni d’età anagrafica.
Diego Riva, Segretario generale CGIL Lecco: “Non ci convincono le risposte date dal governo Draghi con il Decreto Aiuti bis, che prevede finanziamenti del tutto insufficienti ad affrontare il problema di salari e pensioni bassi. Risorse aggiuntive potevano essere trovate tassando ulteriormente gli extraprofitti, come la CGIL aveva chiesto, ma l’esecutivo su questo non è intervenuto. Noi comunque non intendiamo fermarci: a settembre, prima delle elezioni, organizzeremo una grande assemblea di tutti i delegati nazionali per presentare le nostre proposte per il Paese.”