24 marzo 2021
San Romero d’America. Come memoria di questo fratello nella vita ho riletto questa mattina le parole che avevo scritto nel 1990 a San Salvador nel decimo anniversario del martirio di Romero. Ero presente con una delegazione italiana in una stagione ancora di forte violenza e repressione. Allego anche la foto che ho scattato del murale della tomba. Angelo
La memoria di Romero
Parlare con l’alfabeto dei sud
Sono le 18: tra un quarto d’ora saranno dieci anni che il vescovo Romero venne ucciso nella cappella dell’hospitalito della Divina Provvidenza.
Nella cattedrale di San Salvador, riaperta questa mattina (e che chiuderà in serata), hanno terminato di fare memoria di Romero i vescovi fratelli Lorscheider, Casaldaliga e il padre della teologia della liberazione Gutierrez.
Mi si avvicina un uomo adulto, dagli occhi lucidi e mi dice: chiudo questa giornata con l’immagine del tuo volto nella mia anima. E voglio che tu sappia e che lo dica all’estero che noi non siamo contro i nord americani, li sentiamo fratelli; solo non vogliamo più la guerra, ma vivere seminando il grano e facendo crescere i nostri figli.
Mi pare la comunicazione/ simbolo di un popolo che questa mattina è sceso, più di settemila persone, sfidando lo stato d’assedio, sulle strade, per testimoniare la risurrezione di Romero nella lotta per la vita.
Dell’altro popolo a cui non è stato permesso di entrare nella capitale perché chiusa in una morsa per scoraggiare i germi di risurrezione. Il popolo delle comunità marginali, delle ”repoblaciones" del territorio di Chalatenango o di Morazan, che sta traducendo a voce alta e con determinazione il discorso della liberta, dei nuovi modelli di organizzazione, di economia, della politica.
Degli studenti universitari; dei sindacalisti che hanno ancora negli occhi le stragi dei propri compagni; degli operai che in uno sciopero della fame hanno occupato la chiesa del Rosario; dei preti e catechisti dei quartieri poveri che devono fuggire da un luogo all’altro perché braccati dall’esercito; dei gesuiti della Uca che trovavano nelle parole di Sobrino il senso della morte dei propri compagni massacrati qualche mese fa.
Ho incontrato questo popolo assieme ad altri venti compagni della delegazione italiana giunta in Salvador per il decimo anniversario del martirio di Romero.
Dieci giorni di lavoro nelle pieghe di questo Paese straordinario per la capacità di resistere, di organizzarsi, di rilanciare il futuro.
In un momento in cui tutti stanno celebrando il funerale della "rivoluzione", pensando che le centinaia di migliaia di morti del centro america equivalgono a una buona quotazione nelle banche internazionali, questo popolo ha ancora il dono di farci scoprire il Vangelo della libertà, costringendoci ad uscire dalle nostre ambiguità.
Oggi la lettura del peccato strutturale è decisamente profetica, cioè ha un nome e cognome: l’aiuto economico multinazionale che si converte in armi, in uomini addestrati alla violenza e alla tortura; l’aiuto dell’Italia, il secondo Paese al mondo per rapporti solidali con il Salvador, che diventa momento di sopraffazione dei diritti, cito il caso clamoroso della Cogefar nei cui cantieri fino a qualche settimana fa sono uccisi operai sindacalisti.
Oggi non schierarsi o semplicemente cercare una equidistanza dalle parti è mettersi dalla parte dei tutelati; è decretare la morte dei poveri; è decidere che questi possono entrare nel gioco del tiro al bersaglio, come i sei gesuiti e le due e le due donne alla UCA (addestravano i giovani a essere critici e alla rivolta, dicono gli accusatori/ esecutori), come i 75.000 uomini e donne del popolo uccisi in questi anni (desideravano una patria condivisa e non usata solo da quattordici famiglie dell’oligarchia), come Romero, ucciso dieci anni fa, abbandonato dagli stessi fratelli d’altare, come dice Casaldaliga in San Romero d'America.
Come il peccato del mondo aveva ucciso il Figlio di Dio, così il peccato del mondo quotidianamente ha tolto e continua a togliere la vita ai figli poveri di Dio.
Annunciare il Vangelo in questa realtà è compromettersi per un mondo giusto e in pace.
Ho pensato di Romero che è stato il santo che in questi tempi ha reso più evidente la vocazione dell’annuncio, di essere missionari (quindi ha reso evidente e comprensibile il carisma clarettiano).
Il Salvador, con il Centro America, è nel crocevia della vita (il costo della vita sale sempre più, e il valore della vita continua a scendere).
È’ tempo di ricominciare, di immaginare processi mondiali, di sperimentarli nei dialoghi di solidarietà.
Tutte le persone e i gruppi incontrati, prima dell’aiuto economico, hanno chiesto una solidarietà politica, un rompere il muro di silenzio e di indifferenza, di intervenire presso le realtà di chiesa, di stato e di società dei nostri paesi.
La vocazione alla giustizia ed alla pace ci viene rivelata e chiesta da questi paesi, i piccoli del mondo, i sud della terra.
Comprenderemo i fenomeni dell’est e dell’ovest se parleremo con l’alfabeto del sud.
San Salvador 24 marzo 1990