Giustissima, dunque condivisibile, la reprimenda in ignotis (corredata da esplicito ed inequivocabile supporto iconografico) rivolta da Riccardo Benedetti ai nostrani cowboys (ma abbiamo visto in giro anche alcune cowgirls) e ad alcuni (in realtà piuttosto numerosi) titolari di cani che abbandonano sconsideratamente sul suolo pubblico le deiezioni solide dei loro “migliori amici”. A chi non è mai capitato di accorgersi soltanto troppo tardi (dopo averlo calpestato ben bene) della presenza di qualche “residuo organico” animale sull’asfalto di un marciapiede o sciaguratamente deposto e colà dimenticato sul nobile porfido del centro storico? Le sacrosante osservazioni di Benedetti non possono che essere sottoscritte in toto da chi possieda un cane e un sia pur minuscolo residuo di senso civico.
Proprio quello di cui dispone in gran quantità, almeno in apparenza, un Cittadino (introbiese?) proprietario di Fido, le cui generalità (del cittadino e anche del cane: Fido è un nome di comodo per tutelare la privacy della coppia) permangono del tutto ignote a chi scrive e che tiene in grande ossequio le Norme di Civica Convivenza e i Regolamenti Comunali da cui derivano pesanti sanzioni per i trasgressori. Per evitare le quali, come recita una pubblicamente esposta Ordinanza Sindacale, è necessario che “la conduzione degli animali nei luoghi pubblici” avvenga in osservanza, fra le altre, anche della norma che prevede “di depositare le feci, contenute in appositi involucri chiusi, negli appositi contenitori destinati alla raccolta dei rifiuti” (Ord. n. 12/2020, art.2, comma a). Pena la sanzione amministrativa pari a “Euro 250,00.”
Chiaro no? Mica tanto visto che il Cittadino di cui sopra ha interpretato la prescrizione a modo suo utilizzando come da normativa l’apposito contenitore chiuso (leggi: sacchetto di cellophane) inserendovi, sempre secondo la norma (lo Sconosciuto Conduttore di cane è ortodossamente integralista in questa materia) le feci di Fido ma abbandonando l’involucro nerastro sulla sommità di un muretto di cemento lungo via alle Prade. Lì “l’apposito contenitore” è giaciuto in solitaria malinconia per una decina di giorni come abbiamo quotidianamente constatato. Poi, presumibilmente il medesimo Conduttore di cane, ha ripetuto l’impresa con una significativa variante: l’uso di un sacchetto non più nero ma rosso, che è andato a far compagnia al primo in esultante bicromia dimostrando in tal modo il comportamento recidivo del depositante. Talché l’arredo urbano ne ha forse guadagnato in termini neo brutalistici. I due miseri resti di scorie azotate canine, dotate comunque di “apposito involucro” come da dettato (parziale) della suesposta grida amministrativa, giacciono forse ancora sul posto (la foto è stata scattata il 6 novembre scorso) in attesa di “apposita rimozione”.
Chi se ne farà carico? Certo, come dice Benedetti, è un problema di educazione. Ma, a volte, è certamente meno agevole educare un Padrone che un cane anche se “È un istinto patriarcale del cane che (…) gli prescrive di vedere e riverire nell’uomo, nel capo della casa e della famiglia il padrone, il custode del focolare, il sovrano…”. Se quello descritto più di un secolo fa da Thomas Mann nel racconto “Cane e padrone” è anche un atteggiamento pedagogico, allora qualsiasi regolamento, ogni normativa per quanto severa è destinata a cadere nel vuoto pneumatico dell’indifferenza. E non ci sarà nessun “apposito contenitore” in grado di accogliere il frutto esausto dell’elaborazione gastrica di Fido. Al Padrone non si comanda.