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Valbiandino.net : notizie dalla Valsassina e non solo...

Martedì, 25 Maggio 2021 07:10

CARLETTO, TRENORD E JOHN WAYNE

Lissone. Anno domini 2013. Nevica. È lunedì.
Lascio la mia Skoda Octavia turbodiesel nel box e decido di utilizzare le mitologiche ferrovie Trenord. Mi incammino verso la stazione, mentre fischia il vento e infuria la bufera. Non appena intravedo i binari l’altoparlante stonato e stridulo annuncia l’arrivo del mio treno.
Ho freddo, fame, guanti cinesi in cotone da 2 euri, cappellino cinese da 3, ombrello cinese da 4, mi scappa la pipì e non ho i biglietti. In Cina non li fanno ancora.

Con agile corsetta, mi fiondo dal tabaccaio della stazione e quasi mi si svitano gli acetaboli scivolando. Per guadagnare tempo, inizio a togliermi i guanti, ma in mano ho anche il mio coso (l’ombrello). L’ho prudentemente chiuso. Ma inopinatamente esso si riapre e gli si rompe una stanghetta. Mi casca un guanto. Poi anche l’altro. Si macchiano non di neve ma di altre materie organiche. Ad occhio e croce, pare non trattarsi di pupù di yak ma più probabilmente di feci autoctone umane.
Alle mie spalle il treno in lontananza sbuffa e mi spernacchia. Mentre fischiano sia il vento che il treno e infuria la bufera.
Con virile spallata tento di aprire la porta del bar tabacchi. Non si apre. Dove sbaglio? Mi sfugge qualcosa. Nuova spallata. Un dolore triste di ossa schiacciate mi immalinconisce un po’ ed estrapola alcune parolacce dalla mia epiglottide. Leggo sul vetro un irridente TIRARE. E infatti, tirando la porta, questa si apre come per magia. Una faccia da pirla (con i baffi) vede la scena e sorride. Se ne avessi il tempo e non fossi il gentiluomo che sono, lo bastonerei ripetutamente con l’ombrello, anche aperto.

Trafelato mi dirigo al bancone per acquistare i biglietti. Il giovine barista, leggermente effeminato (ma solo un po’), mi chiede se io non abbia 80 centesimi spicci per facilitarlo nell’operazione del resto. Gli dico di no. Se li avessi te li avrebbi diggià dati, pirla!
Me lo richiede con voce languida. Ribadisco il mio no. Non cambio idea facilmente, io! E, intanto, il treno sbuffa e si appresta ad approdare. Mentre fuori fischia il vento, infuria la bufera e qualcuno espettora rumorosamente tra i piedi di chi gli sta accanto, osservando compiaciuto il frutto della sua fatica.

Il giovine barista tentenna, traccheggia, porgendomi infine il resto: 12 kg di monetine. Ignoro a fatica una vocina interiore. Se la ascoltassi, procurerei al giovine numerose abrasioni e contusioni multiple, servendomi del mio ombrello, che nel frattempo si è aperto di nuovo.
Ritiro i biglietti e raccolgo il resto a piene mani. Alcune monete mi cadono per terra. Un cliente con panza e baffi, furbescamente, cerca di coprirle con il suo doposcì firmato. Ma io non sono nato ieri e pretendo che mi restituisca i miei 3 centesimi! Me li sono guadagnati col sudore della fronte e, talvolta, anche delle ascelle! Oltretutto, non espettoro in ogni dove, io.
Minaccio con l’ombrello il ladro coi baffi ed egli impaurito cede.

Il treno è giunto. Si ferma 50 metri oltre il punto prestabilito. Ma io non ho ancora obliterato il mio biglietto. Ovviamente, la macchinetta preposta allo scopo è rotta da decenni. L’ultimo che è riuscito ad utilizzarla, mi dicono, è stato seppellito 23 anni fa. Vivo. Vengo a sapere da una signora, brutta come la disperazione, che c’è un’altra macchinetta obliteratrice in sala d’aspetto. Mi ci fiondo con agilità sorprendente. Ho 50 anni, e quando giocavo a calcio mi chiamavano il diesel della Brianza.
Mentre mi appropinquo all’obliteratrice per infilarvi il mio coso, una signorina, incrociandomi, quasi sviene. Finge di aver dimenticato chissà cosa e fugge via, stringendo tra le sue mani il suo ticket bagnato. Il biglietto le cade, si china per raccoglierlo e si accorge che il mio sguardo si è depositato sul suo didietro ottimamente disegnato da madre natura. Ella inorridisce e comincia a correre. In effetti, oggi non sono proprio un bel vedere: barba incolta di 4 giorni, capelli (15 in tutto) sbrindellati dalla tempesta di neve e quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi che non abbiamo visto Genova. E, oltretutto, sono sempre col coso in mano (l’ombrello).
Il sangue di atleta che ancora pulsa e girovaga in me, mi consente di saltare sul treno con leggendario gesto atletico. John Wayne, dall’alto, si complimenta con me, sorride e spara felice. Mancano solo gli indiani e John Ford.
Mi siedo felice e soddisfatto. Basta poco per esserlo, penso.

Accanto a me un signore sui 75 anni portati malissimo e una signorina sui 25.
Non credo ai miei occhi… Il vecchio, dalla lingua svelta e dal cappotto marrone cammello castrato, non smette di parlare un attimo, dando vita a un approccio grottesco e davvero incredibile.
Ella sorride per cortesia. Risponde a monosillabi. Finché a un certo punto non gli chiede assurdamente: “Ma lei, di che segno è?”
E il vecchio riprende vigore, facendo le corna. Dev’essere del toro, presumo. Lui ha due figli, ormai quasi in pensione, ipotizzo... La signorina, invece, è pugliese e sposata da due anni. E qui il sudicio signore col cappotto marrone cacca di licaone riparte in quarta. Mare, campagna, cielo grande, cielo blu, neve, crisi economica… Lui, vengo a sapere, ama la montagna e le escursioni oltre i 3000 metri. Lo guardo attentamente e lo vedo incapace perfino di far pipì da solo…
“Si mangia bene da noi – dice la ragazza – e infatti ho preso qualche kg, durante le feste…”
“Non preoccuparti – dice il suino – lo sai che cosa diceva mia mamma? – e nasconde la bocca con la mano, avvicinandosi alla ragazza per rivelarle chissà quale irriferibile segreto.

Sento con facilità quel che dice e convengo con la di lui mamma. “Meglio un po’ di carne attorno all’osso, che l’osso senza carne attorno…”
Riguardo il mio ombrello. È chiuso. Mi sono trattenuto dal bastonare il pirla coi baffi che voleva derubarmi e il giovin barista. Però, a questo signore col cappotto marrone, alcune randellate le regalerei volentieri.
Giunge un controllore dai tratti somatici arabeggianti.
Fatico a trovare il biglietto. L’ombrello gli cade tra i piedi, ma non si apre. Fuori, rutta il vento e infuria la bufera. E io penso con nostalgia alla mia Skoda nel box. Chissà se anche lei mi pensa.

“Non è timbrato! - tuona il controllore - Ah, no… si vede poco… dev’essere colpa della macchinetta…”
Caro controllore, ma se io ti dessi una bella ombrellata sul ginocchio e ti regalassi 3 settimane di infortunio, pagato da mamma Inps, tu che faresti?
Finalmente giungo in ufficio. Il riscaldamento è fuori servizio. Il rumore dello sciacquone rotto mi fa capire che il mio anziano collega, abbastanza sordo, ha già fatto pipì e come al solito ha esagerato schiacciando il pulsante. Dulcis in fundo, il papa si è dimesso.
Penso a quale fortuna avesse John Wayne: poter andare a cavallo senza dover obliterare nulla, con la libertà di scazzottare ogni cattivone.
Bella la neve, però. Probabilmente, non è altro che forfora di nuvole distratte.

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Lunedì, 24 Maggio 2021 16:41

I 50 ANNI DEL CSC CORTENOVA SU "VOGLIA DI ATLETICA"

in Sport

Bella sorpresa per  il CSC Cortenova che quest'anno festeggia il cinquantesimo di fondazione: la rivista del Comitato Regionale Lombardo della FIDAL ("Voglia di Atletica") ha dedicato un ampio articolo al sodalizio valsassinese raccontandone i principali successi e sottolineando i  valori che ne hanno sempre contraddistinto l'attività.

Il CSC Cortenova nella sua lunga storia ha ricevuto diversi riconoscimenti tra i quali i più importanti sono sicuramente la Stella di Bronzo al merito del CONI e il Discobolo d'Oro del C.S.I.

Cliccando sul link potrete leggere l'intero articolo.

 

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Lunedì, 24 Maggio 2021 15:04

QUANTO VALE UN CICLISMO MENO EPICO E PIU' UMANO?

Il ciclismo è stato epico, ma forse si sta umanizzando?

Da una parte è un dispiacere profondo che la tappa regina venga tagliata per maltempo!

E lo trovo giusto solo se effettivamente le condizioni di sicurezza non consentivano di transitare su Marmolada e Pordoi.

A quanto pare piove e fa freddino.. tre gradi.. era veramente necessario accorciare la tappa clou?

Nibali stesso nel 2013 vinse alle Tre Cime di Lavaredo sotto una bufera di neve.

Questo per non scomodare antiche memorie che appartengono all'epoca del bianco e nero: Charlie Gaul nel 1956 diventò "Angelo della montagna" conquistando il Monte Bondone e recuperando 17 minuti in classifica finendo per indossare la maglia rosa (si ritirarono in 43 con principi di assideramento).

Il bilancio del 1962 sul passo Rolle fu ancora più significativamente tragico: 57 ritirati e 53 al traguardo, con la tappa accorciata in un due giugno che sapeva d'inverno. I km percorsi fino all'arrivo sul passo, senza affrontare la discesa successiva, furono comunque tutti sotto la neve.

Per avvicinarci a giorni e mete più prossimi, ma legati da quel filo rosso, che rappresenta la stoicità mista a tragedia delle due ruote.. come dimenticare il Gavia nel 1988?

Il freddo pungente nella picchiata su Bormio fece perdere il giro a Franco Chioccioli: troppo disumani i meno cinque gradi sulla cima Coppi!

Un americano resistette e per la prima volta la maglia rosa finale si tinse di stelle e strisce, grazie a Hampsten.

Dieci anni più tardi una delle imprese maggiormente scolpite nella storia d'Italia: il pirata Marco Pantani, dopo aver trionfato al giro, in una giornata di freddo e pioggia, di strade scivolose, di bandane gettate al vento, di crisi di freddo e fame con il bestione tedesco Jan Ullrich... Trionfò a Les Deux Alpes, costruendo la doppietta giro / tour proprio nella salita e discesa (al limite) del mitico Col du Galibier. Se la tappa fosse stata limata, i nove minuti rifilati al tedesco...

Il ciclismo diventa più umano.

E forse per questo, meno pompato, ma anche meno memorabile?

Non ultime le polemiche sul giro 2020 corso ad ottobre e forse esempio più significativo: la tappa Morbegno Asti accorciata e partita alle 14.30 da Abbiategrasso perché alcuni corridori si lamentarono per la pioggia e il freddo: in quella occasione non vi erano valichi e pericoli da discese, ma è forse emerso con più forza quello che sta cambiando.

Senza un’organizzazione forte tutto è sindacabile e tutto può essere in discussione.

Non sempre sarà un male, ma a volte sarà un’impresa mancata.

Luca Tagliaferri

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Lunedì, 24 Maggio 2021 11:05

TRAGEDIA DEL MOTTARONE: ORA SERVE IL SILENZIO

La tragedia consumatasi ieri sul Mottarone non poteva non colpire emotivamente il nostro territorio dove sono ben quattro nel giro di trenta chilometri gli impianti funiviari in attività.

Ovviamente non ci sono parole per descrivere l'accaduto che, a detta degli esperti (quelli che si occupano di manutenzione di funivie, quindi, non i commentatori pressapochisti e tuttologi che sarebbe meglio stessero zitti), non trova, al momento una logica spiegazione.

Più che discutere sul cavo rotto oggi, però, dobbiamo piangere le quattordici vite spezzate e pregare che il piccolo superstite sopravviva (non osiamo pensare come), così come era successo ad Alessandra Piovesana, unica sopravvissuta alla tragedia del Cermis del 1976. 

Per quanto riguarda il cavo rotto, invece, a nostro avviso sarebbe opportuno che scendesse il silenzio e si lasciassero lavorare senza pressioni (immaginiamo ne abbiano già molta senza bisogno di caricargliene altre) gli inquirenti e i tecnici che verranno incaricati della perizia.

Continuare a fare ipotesi non ha senso e rischia di disorientare le persone.

Abitando, come abbiamo scritto, in una zona di funivie periodicamente abbiamo riscontri di manutenzioni e verifiche atte a garantire la sicurezza degli impianti, per cui non ci resta che attendere quella "logica spiegazione" che al momento sfugge a tutti.

Nel rispetto del ricordo di chi non c'è più, del dolore immenso dei loro familiari e amici e dell'inimmaginabile sgomento dei gestori di quella funivia.

 

 

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Lunedì, 24 Maggio 2021 06:56

COMMEMORAZIONE DELLA STRAGE DI CAPACI

in Video

Il 23maggio 1992 è una di quelle date che non si dimenticano. Oltre 500 chili di tritolo mafioso distrussero il tratto d’autostrada a Capaci (Palermo), facendo saltare in aria le auto su cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone e sua moglie FrancescaMorvillo e i poliziotti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo in servizio di scorta sulla Fiat Croma con sigla radio Quarto Savona 15. La Mafia pensava di ucciderli. Li ha resi invece il simbolo di una nuova "cultura della legalità".
Leggi l'articolo https://www.poliziadistato.it/.../1560a8b88547ae4468371191

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Domenica, 23 Maggio 2021 18:30

SI FARA` IN VALSASSINA LA SECONDA TAPPA DEL CAMPIONATO EUROPEO DI TRIAL

Dopo la disdetta data da Santa Fiora in provincia di Grosseto, per problemi burocratici, il Moto Club Valsassina ha dato la sua diponibilita` alla FIM Europa per organizzare in Valsassina la seconda prova degli Europei di Trial, gara prestigiosa a cui partecipaeranno i migliori nomi del trial europeo (si parla di 150 atleti).
Le prove saranno effettuate sabato 29 e domenica 30 Maggio.

"Saputo della disdetta del Moto Club Toscano - ci dice Renato Moneta, personaggio storico del Moto Club valsassinese - abbiamo provato a chiedere di effettuarlo noi e la nostra richiesta e` stata accettata.
Ora pero` dobbiamo galoppare, perche` dobbiamo preparare ben 17 "stazioni " di gara dove gli atleti effettueranno le loro evoluzioni, oltre a quella piu` nota sul fiume Pioverna, dove finisce la ciclabile, e alle Trote Blu di Bindo, altre stazioni sono previste sulla Val Martino sopra Cortenova" .

 

Categorie in gara:

European Championship, Junior Cup, Over 40 Cup, Women Championship and Youth European Championship

 

Formula di gara

Sabato 29 Maggio Women Championship and Youth European Championship

Domenica 30 Maggio European Championship, Junior Cup, Over 40 Cup

 

Motoclub organizzatore:

Motoclub Valsassina V. Ciresa a.m
Via Caraletta 23 – Primaluna

 

Questo il nuovo calendario Europeo

29 – 30 Maggio – Cortenova (Lecco)
31 Luglio – 1 Agosto – Grossheubach, Germania
7- 8 Agosto – Kramolin, Repubblica Ceca

 

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Domenica, 23 Maggio 2021 07:01

CHI GESTIRA` IL CENTRO SPORTIVO DEL BIONE ?

Bando Bione deserto

Il bando per individuare un gestore del Centro sportivo del Bione dal 1° luglio è andato deserto.
Una ricerca necessaria perché la concessione con Insport terminerà il 30 giugno, un divorzio che Comune e società hanno deciso insieme visto che hanno chiarito che si tratta di rescissione consensuale del contratto. Ora una domanda sorge spontanea: chi gestirà il Centro sportivo dal 1° luglio?

Aspettavamo un piano B dell’amministrazione perché non era difficile prevedere che non ci sarebbe stato un affollamento di società desiderose di gestire un centro con pesanti carenze strutturali proprio nelle parti che consentono di far quadrare i conti, la piscina per intenderci. Invece nulla.
Il 13 maggio tutti i media locali hanno pubblicato la notizia che dal soffitto di uno spogliatoio del Bione entrava acqua in stile cascata, l’ennesima denuncia delle gravi magagne che società sportive, atleti e genitori segnalano continuamente. La necessità di passare subito dalle parole a opere di manutenzione risolutiva è evidente, ma l’assessore Torri nel commento a questo episodio non ha detto una parola concreta e ha ignorato la notizia del mese ovvero che al bando, scaduto il 9 maggio, nessuno ha partecipato.
La crisi gestionale e di prospettiva strategica del Bione dura da più di un decennio e la pandemia per assurdo poteva essere un’occasione per mettere un punto a capo.

Il sindaco Gattinoni e l’assessore Torri non si esprimono su come e da chi verrà gestito il Bione. Il comune sforna un comunicato dal titolo “Lecco, Terra di Sport” che informa che l’assessore alla partita parteciperà il 20 maggio a una trasmissione radiofonica per dire che il Comune di Lecco sostiene lo sport come strumento per la promozione di valori positivi e di contrasto alle discriminazioni, ma ancora una volta silenzio totale sul nostro povero centro sportivo.
Il sindaco apre la sua newsletter settimanale proprio con lo sport e i finanziamenti disponibili alle società che proporranno iniziative estive, ma neanche una parola sul Bione.

Dal 1° luglio le piscine al chiuso potranno riaprire. Chi aprirà la piscina comunale?
Come Lega prendiamo atto del cambio di passo: è stata innestata la marcia indietro anche se pareva impresa impossibile.

Cinzia Bettega
Andrea Corti
Stefano Parolari
Consiglieri comunali di Lecco
Lega Lombarda per Salvini premier

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Sabato, 22 Maggio 2021 17:56

IO, MARA E LA MADONNA DEL GHISALLO

Anch’io ho fatto il Giro d’Italia. Beh, non proprio. È stato domenica scorsa. Caricate le bici in macchina e scaricate a Lecco. Alle 9 inforcati i nostri destrieri a pedali e partenza verso Onno. Mara è a ruota. Lei non molla mai. L’impressione è che noi si proceda a gran velocità e che il paesaggio scorra adagio. La riva opposta del lago è quasi ferma. L’akuaduulza cantata da Van De Sfroos muove lenta, sulla destra. Azzurro come la maglia di Coppi, il cielo è immobile. L’illusione ottica mi conforta un poco. Ma gruppi di ciclisti ci superano con deprimente rapidità spezzando la breve trance e l’illusione del moto accelerato: mi sento un mollusco dotato di salopette, casco policromo e tutto il resto. Piegato in avanti, impugno la parte bassa del manubrio alla ricerca di un problematico miglioramento del coefficiente di penetrazione. Ma le gambe si alternano nella perfida compressione della mia protuberanza addominale seguendo il ritmo dei pedali.

Talché la respirazione si fa stentata. Combatto anche leggieri (sì, proprio leggieri con la “i”, perché? Carducci scriveva “…gioia leggiera…” Se lo fa lui posso farlo anch’io. O no?) attacchi di claustrofobia nell’attraversamento delle due lunghe gallerie di Malgrate, illuminate a notte. A Onno -chilometri percorsi 10; chilometri percepiti 50- deviazione a sinistra. La salita verso Valbrona ha inizio. Insieme al mio calvario. Pasticcio col cambio nel tentativo di passare a un rapporto più agile e quando ci riesco, mia moglie è già avanti di qualche metro. D’ora in poi, fino alla meta -spero di arrivarci ancora cosciente- sarà così. Già, la meta. Ghisallo, nome favoloso nella terra di mezzo delle due ruote; sancta sanctorum dei pedalatori, professionali o sfigati non fa differenza; più croce che delizia delle domeniche en danseuse della mia tarda giovinezza. E anche vecchiezza. Anche se il versante odierno è quello meno impegnativo. La chiesetta sul colle è dedicata alla Madonna specializzata in pedalatori di ogni genere. Fino a qualche anno fa custodiva cimeli più preziosi, ciclisticamente parlando, delle schegge della croce di Cristo e del sangue di san Gennaro. Oggi le reliquie sono ospitate nella struttura postmoderna del Museo eretto a poca distanza dalla chiesa: bici di Coppi, Bartali e Magni, decine di maglie rosa, maglie varie di campioni del passato remoto e recente, foto e ritratti degli uomini che con sudore, fatica e spesso anche sangue, hanno fatto la storia e anche la leggenda dell’italico ciclismo. Un po’ di sana retorica non può nuocere eccessivamente.

Intanto mia moglie è già scomparsa dietro una curva, un centinaio di metri più avanti. Altri cinque chilometri di crisi coronariche e, ad Asso, compare improvvisamente l’incrocio con la strada che conduce a Magreglio. La tentazione di piegare a sinistra (discesa fino a Erba) è quasi irresistibile. Ma poi chi avverte la mia consorte -ormai persa di vista- che ho preferito il piacere al dovere? Allora svolta a destra faccio di necessità virtù, come la monaca di Monza e riparto di buona lena -mica tanto buona a dire il vero- verso la Cima Coppi. Ancora salita. Quel cuore tenero di Mara mi aspetta all’uscita della galleria: “Come va?”. Mi sembra di avvertire nel punto di domanda un che di esclamativo, una sfumatura, più che preoccupata, divertita. Faccio finta di nulla, esalo un sibilo sfibrato simile a un “sì” e tiro dritto. Nei 5 chilometri successivi la pendenza è più clemente. Decine di pedalatori mi superano chiacchierando. Mara rimane con me, girandosi di tanto in tanto per accertarsi che non sia scomparso. La sagoma austera della chiesa romanica di S. Alessandro, (sec. XII) dal suo cocuzzolo mi osserva silenziosa e meditabonda. Si raggiunge percorrendo i ciottoli di una via crucis.

La mia si presenterà fra poco. Le nuvole intanto navigano lente nel blu della Vallassina -valle di Asso. La processione ciclistica è ininterrotta. Centinaia di faticatori procedono verso la vetta. Un colpo di pedale dopo l’altro arrivo anch’io all’ingresso del comune di Barni. Davanti a me un lungo, ripido rettilineo, mi ammonisce con severità: “Pensaci bene”. Non rispondo per risparmiare fiato. Eccolo il calvario che sono andato a cercare con senile incoscienza. L’erta si fa improvvisamente spietata: una Lecco - Ballabio senza tornanti e senza pietà. Millecinquecentometri di purissima agonia. Mi spiacerebbe davvero morire ancor giovane. Ma dài, settantaquattro non sono così tanti. Il computer di bordo segnale km/h 6.2. Le mie gambe non sono d’accordo e protestano vivamente. Fingo di ignorarle anche se il mio “naso è triste come una salita”, proprio come quello del Bartali di Paolo Conte. La chiesetta del Ghisallo si appalesa improvvisamente e provvidenzialmente.

Ci siamo. Mara mi ha aspettato con santa pazienza. Sesso debole, seh! Una folla di ciclisti e centauri motorizzati occupa l’intera area del colle. È domenica e il tempo non sembra intenzionato a fare brutti scherzi. La picchiata verso Bellagio è entusiasmante. Vado a mille. Mi sento un vero figo. Però non ricordavo che l’ingresso in Civenna fosse micidiale. E anche l’uscita. Una serie interminabile di saliscendi spezzano gambe e schiena. Ma è tardi per alzare bandiera bianca. Si deve tornare a Lecco. Finalmente dopo più di un chilometro di su e giù, la discesa vera. Una fatica bestia. Le mani stringono continuamente le leve dei freni. I vecchi pattini un tempo gommosi, sono diventati come legno e non fanno attrito sui cerchioni. Dopo qualche minuto ho gli avambracci paralizzati per lo sforzo della frenata continua. L’arrivo a Bellagio è la fine di un incubo.

È, anche, l’inizio di un sogno. Vedo già il lago scorrere veloce alla mia sinistra, l’uscita da Oliveto, l’ingresso a Onno e la salitella… Salitella? Cinquanta metri in totale assenza di gambe. Muovo spalle e braccia e testa. Ma le gambe, quelle no. Si rifiutano. Sono assenti. Fingono di guardare altrove. Ma quel piccolo, insignificante, impercettibile dosso mi sembra lo Stelvio. Vabbè, bene o male me la cavo. Altri venticinque minuti quasi facili e alle 11.10, cinquantacinque chilometri dopo la partenza, siamo alla macchina. Velocità media, 21.8 km orari. Vorrei piangere ma sono troppo stanco. Nella strettoia di Laorca dal sedile del passeggero una vocefemminile chiede: “Martedì dove andiamo? Resinelli? Valvarrone?”.
“Io no, io, no, io no”: la voce di Vasco Rossi riprodotta dallo stereo mi propone un suggerimento e copre l’irriverente risposta.

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