50 anni fa gli italiani viaggiavano già con il documento vaccinale
Nel 1971 con un compagno di Partito ho visitato molti Paesi asiatici: Tailandia, Birmania (ora Myanmar) un paese questo allora pressoché sconosciuto ai turisti e poi India e via via Pakistan, Iran, Turchia e da qui, da Istanbul con il treno di nuovo a casa. Un bel viaggio di gioventù via terra, durato circa due mesi.
Ricordo che, prima di partire per questo avventuroso viaggio costruito di giorno in giorno, tappa su tappa senza un preciso programma, dovemmo obbligatoriamente fare un gruppo di vaccinazioni: anti colera, febbre gialla, tifo, anti epatite, malaria.
A vaccinazioni fatte ci venne rilasciato poi un libretto giallo con data ed elenco di quanto fatto.
Libretto separato che doveva far parte integrale del passaporto.
Ad ogni attraversamento di frontiera e in alcuni casi anche negli ostelli o rifugi per la notte ci veniva richiesto per controllo questo documento vaccinale.
Niente di scandaloso; da sempre, anche oggi, a chi viaggia per lavoro o per turismo in certi Paesi a rischio sanitario vengono richieste vaccinazioni specifiche.
Non capisco quindi l’opposizione che alcuni stanno portando avanti, ora che sta dilagando una pandemia, ad un “passaporto vaccinale” inerente anche il Covid-19.
Il passaporto vaccinale di cui si sta discutendo, a mio avviso, non può rientrare, come qualcuno vuol far credere, in una imposizione di regime illiberale e dittatoriale, in quanto è una sana disposizione democratica che puo’ limitare i contagi di questo pericolosissimo virus.
Lo stop alla dilagante circolazione del Covid 19 per ora lo si può fare solo con il vaccino e quindi ci si vaccini appena possibile e la vaccinazione fatta la si certifichi con documentazione adeguata.