La marea epidemica è ancora in fase ascendente. Ma c’è un’altra ondata che da tempo sommerge la Penisola. È lo tsunami provocato da una galoppante infodemia, l’incontrollata e onnipresente tempesta massmediatica che ci travolge quotidianamente sospinta da giornali, telegiornali e dall’ormai incontrollabile nubifragio di notizie (vere o presunte) prodotto dai social internettiani. Grazie ai quali l’intera società rischia un irrimediabile naufragio informativo. Il bombardamento a tappeto proveniente da piccoli, medi e grandi schermi (ormai gli smart tv da 60 pollici sono la norma) non risparmia nessuno. Supportato da nuove star mediatiche che la pandemia ha sospinto ai vertici dell’attenzione in un interminabile botta e risposta fra virologi, epidemiologi, infettivologi, divulgatori, microbiologi del bar Sport, ricercatori operanti su Facebook.
Siamo diventati tutti grandi esperti di proteine Spike, RNA messaggeri, anticorpi monoclonali, varianti virali grazie alla cui onomastica conosciamo ormai a memoria l’intero alfabeto greco dalla A alla Z. Pardon: dall’Alfa all’Omega. Vabbé, si dice omicron, con l’iniziale minuscola, ma va bene uguale. Tanto tutti parlano e sparlano di tutto e su tutto dall’alto di pulpiti domestici o mediatici, sociali o conviviali senza pudore, senza pensarci troppo. Pensarci, appunto. Pensare è un esercizio complesso e spesso faticoso costellato di insidie. Il rischio più grande è scoprire di aver espresso concetti errati e di doversi autocriticare davanti ai nostri followers. Non lo fa proprio nessuno. Tanto il giorno dopo, o un’ora dopo, nessuno se ne ricorda più grazie all’accavallarsi di notizie, pareri, opinioni, certezze, convinzioni, atti di fede. Una fake scaccia l’altra in un accelerato e ubiquo moto browniano massmediatico. Dice: “Ma allora a chi dobbiamo dar retta? Al virologo, o al politico? Al giornalista o a superMario Draghi che oltretutto la pensa e la fa da banchiere?” Dice quell’altro: “Basta attenersi ai dati, alle cifre; i numeri dicono sempre la verità”.
E allora giù grafici, istogrammi, tabelle fitte di numeri, sofisticati diagrammi statistici. C’è un tizio su un social molto frequentato anche da ricercatori e studiosi di ottimo livello, che pubblica ogni giorno tonnellate di diagrammi e grafici a torta, a barre, a linee, ad area e così via commentando immancabilmente con interminabili vaniloqui. Non è uno scienziato né un epidemiologo né uno statistico però grazie alla sua compulsiva e quotidiana presenza raccoglie migliaia di like, Ma i dati, anche i più precisi, senza l’inserimento in un contesto, spesso mutevole e incerto, non servono proprio a nulla. Sapere quanti sono stati i soggetti positivi rilevati ieri non mi dice quasi niente di statisticamente significativo nemmeno se conosco il numero dei prelievi effettuati. E anche se ne fossi a conoscenza non basterebbe perché ciò che conta è la percentuale, il rapporto fra numero di tamponi e contagi. E anche in questo caso ci si accontenta di approssimare all’intera popolazione nazionale l’estensione della stima sulla base del cosiddetto “intervallo di confidenza” che ti indica il margine di errore della valutazione. Margine che ovviamente si riduce con l’aumentare dei test validi che estende la platea dei soggetti tamponati.
Chi si occupa di statistica ha studiato e faticato molti anni per poter leggere grafici la cui interpretazione in un contesto pandemico risulta molto più delicata e complessa rispetto ad altre realtà anche a causa del numero di variabili in gioco. Il coronavirus non ti avverte per tempo che produrrà una variante pericolosa: la scopriamo quando è già attiva. È una sfibrante rincorsa con handicap nella quale sono impegnati da due anni gli scienziati di tutto il mondo. Per questi ed altri motivi è opportuno non sdraiarsi su qualche numerino se si affronta anche estemporaneamente un tema così incredibilmente complicato come quello provocato dalla diffusione del Sars cov-2.
In realtà, noi “uomini della strada”, come diceva un tempo Mike Buongiorno, siamo costretti a muoverci “a naso” pendendo oggi dalle labbra del prof. Bassetti, domani dalle parole del prof. Crisanti, dopodomani dai post dei Ferragnez o dai tweet sommersi di like di qualche “esperto” a caccia di clickbait e noto solo a quelli che lo frequentano. Però forse una soluzione, certo non definitiva, esiste. Basterebbe navigare attraverso i siti internet della Fondazione Gimbe e di Epicentro o dell’Istituto superiore di Sanità oppure, meglio ancora, di Our world in data, (in lingua inglese) punto di riferimento imprescindibile per ottenere un quadro esauriente e scientificamente attendibile della presente pandemia. Ma fate attenzione: potreste imbattervi in qualche grafico. Come il seguente, prodotto dal CSSE della statunitense Johns Hopkins University
O come questo della Fondazione Gimbe che riguarda i casi di contagio fra gli operatori sanitari in Italia, alla data dell’undici gennaio 2022. L’anno scorso medici e infermieri erano invocati come eroi. Oggi nessuno o quasi ne parla più ma loro sono ancora lì a lottare rischiando più di tutti noi sapendo perfettamente di che pericoli si tratta.