Gli effetti della Pandemia sul Lavoro Femminile
Gli effetti della pandemia, come è noto, si sono riverberati in modo particolarmente pesante sulle donne, allargando ulteriormente i gap di genere e mettendo ancor più in le fragilità esistenti
A livello regionale, la riduzione di fatturato 2020 registrata dalle imprese femminili rispetto a quelle maschili risulta più pesante e pari al -29% (> rispetto al calo del 24,3% registrato in media da MPI gestite da uomini). Le motivazioni alla base di questa differenza sono diverse, dalla maggior presenza di donne nei servizi, settore più colpito dalla crisi Covid-19, all’innalzamento del livello di difficoltà nella gestione di attività di cura e di attività lavorative, spesso sovrapposte. Le donne con difficoltà nella gestione dei tempi di cura sono anche quelle che hanno registrato diminuzioni di fatturato più pesanti nel 2020 pari al -31,2% (> rispetto al calo del -25,4% rilevato per le imprenditrici senza alcuna difficoltà rilevante nella conciliazione di tempi di vita e lavoro).
I dati Istat sull’occupazione femminile – gli ultimi disponibili fanno riferimento al III trimestre 2020 – indicano che le donne lombarde con un lavoro sono 41 mila in meno, nel dettaglio nel periodo luglio-settembre 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 si contano 8 mila lavoratrici indipendenti in meno e 34 mila lavoratrici dipendenti in meno. Allargando l’analisi a livello settoriale si osserva un calo maggiore di occupate lombarde nel comparto dei Servizi (-23 mila) seguito dal Manifatturiero (-13 mila) e dalle Costruzioni (-7 mila). Con il numero di indipendenti che si contrae in misura maggiore nel Manifatturiero (-5 mila) e quello delle dipendenti nei Servizi (-18 mila).
Il calo delle occupate in Lombardia, come nelle altre regioni, conseguenza diretta della crisi Covid -19, nonostante le misure di supporto, è determinato anche della diminuzione di nuovi ingressi di donne nel mondo del lavoro: nel 2020 sono state 571 mila le donne entrate nel mercato del lavoro, 150 mila in meno rispetto al 2019. Sempre dati Istat, riferiti al 2019, danno evidenza di alcune disparità di genere che potranno influenzare in modo favorevole o sfavorevole la partecipazione delle donne lombarde nel percorso futuro di ripresa.
I gap a favore delle donne: quota di donne 25-64 anni con almeno un diploma (+6,6 p., 67,8% donne vs 61.2% uomini), quota di donne laureate (+13,6%, 39,8% donne vs 26,2% uomini) e quote di donne che partecipano alla formazione continua (+1 p., 9,6% donne vs 8,6% uomini). I gap a sfavore delle donne: quota di donne con competenze digitali (-6,3 p., 23,4% donne vs 29,7% uomini), quota lavoratrici dipendenti con bassa paga (+3,1 p., 7,4% donne vs 4,3% uomini), quota occupate sovraistruite (+1,9 p., 22,8% donne vs 20,9% uomini), quota occupate a part time involontario (+12 p., 17% donne vs 5% uomini) e ammontare retribuzione media annua delle lavoratrici dipendenti (-31,4%, 21.169 euro donne vs 30.879 uomini).
In Lombardia le imprese registrate gestite da donne sono in totale 179.630 di cui 38.869, il 21,6%, artigiane. Di queste ultime il 14,3% pari a 5.551 sono gestite da giovani under 35 e il 17,9% pari a 6.947 sono gestite da imprenditrici straniere.
IL FOCUS SU LECCO
In provincia di Lecco le imprese femminili registrate nel 2020 sono 5.107 di cui 1.286 artigiane, pari al 25.2%. 205 le attività artigiane gestite da giovani under 35 e 115 da straniere. I settori in cui operano le donne imprenditrici sono: costruzioni 3,7; manifatturiero 22,8; servizi alle imprese 21,4; servizi alle persone 51,8; altro 4,4.
Nel 2020 si contano 14.732 avviamenti di donne dipendenti contro le 16.684 del 2019 con un calo del 11,7% pari a 1.952 ingressi in meno nel mondo del lavoro. Dato positivo in controtendenza da segnalare, è il saldo positivo delle imprese artigiane femminili 2020 su 2019 con 31 unità in più. In Lombardia il saldo chiude in negativo con 72 imprese in meno.
La retribuzione media annua dei lavoratori dipendenti nella nostra provincia segna invece un gap ancora negativo: se mediamente un uomo guadagna 29.837 euro l’anno, le donne sono ferme a 18.562 euro.
IL SONDAGGIO VERSO L’8 MARZO 2021. E MOLTO OLTRE
I risultati del Sondaggio d’ascolto promosso dal Movimento donne impresa di Confartigianato Lombardia ‘Verso l’8 di marzo 2021. E molto oltre’, effettuato dal 25 febbraio al 3 marzo 2021, a cui hanno partecipato 340 imprenditrici lombarde di MPI e imprese artigiane permettono di raccontare una parte dell’effetto Covid-19 sul mondo delle donne-lavoratrici-imprenditrici. Innanzitutto le donne imprenditrici a capo di MPI e imprese artigiane “al tempo del coronavirus” si definiscono in prevalenza flessibili, multitasking e problem-solver.
Il 38,4% delle imprenditrici ritiene che lo shock pandemico ha reso molto difficile essere donna imprenditrice. Tale percentuale si alza al 41,3% per quelle imprenditrici che regolarmente si prendono cura di persone non autosufficienti e per quelle con figli, al 48,4% per quelle con bambini sotto i 5 anni e al 59,3% per quelle che attualmente hanno difficoltà elevate nel gestire tempi di vita e lavoro.
Partendo dall’idea che le imprenditrici potessero essere più sensibili ai temi della conciliazione, abbiamo indagato quali fossero le soluzioni adottate per agevolare dipendenti e collaboratori, donne e uomini, nella gestione dei tempi di cura: nel 43% dei casi concedono flessibilità dell’orario di lavoro, nell’11,6% dei casi concedono ai dipendenti uomini flessibilità maggiore per dargli modo di condividere con mogli/ compagne la gestione di tempo di cura e nel 6,6% dei casi concedono uno o più giorni di lavoro in smart working. Va tenuto conto che questa ultima soluzione spesso non è applicabile nelle piccole realtà o per tipo di attività svolta (es. acconciatore) o per necessaria presenza in azienda (es. attività in area produttiva). Il Covid-19, come noto, ha spinto la transizione digitale, ad esempio avvicinando un numero maggiore di individui all’utilizzo di strumenti digitali per effettuare molte attività quotidiane quali la spesa di prodotti alimentari, il pagamento di bollette, la prenotazione di visite mediche o altri appuntamenti, etc.
Dalla survey si rileva che gli strumenti digitali sono stati di massima importanza e di elevato supporto per lo svolgimento sia di attività di cura che lavorative, spesso sovrapposte, per il 67% delle imprenditrici. Quota che si alza al 70% per le imprenditrici che a causa della diffusione del virus hanno visto incrementare le difficoltà di gestione di attività di cura.
In particolare rispetto al periodo pre emergenza le imprenditrici hanno fatto maggior ricorso a strumenti digitali per: attività di impresa (46,3%), tempo individuale/personale (41,3%), svolgimento di attività di cura (35,5%) e attività domestiche (22,3%).
A fronte dell’evidenza che lo tsunami pandemico ha contribuito a dare visibilità maggiore alle disparità di genere, alla domanda “Come ridurre le differenze di genere?” le imprenditrici individuano come prioritario promuovere un’educazione socio-culturale per sradicare gli stereotipi di genere (52,9%), incrementare la presenza di donne in luoghi decisionali (governo, task force) (39,7%), introdurre un welfare aziendale volto ad armonizzare vita familiare e lavorativa (35,5%), ridurre il gap retributivo (32,2%) e ripensare i modelli di business e organizzativi delle imprese (31,8%).
Interpellate sulle prossime conquiste che vorrebbero raggiungere, le intervistate hanno indicato prevalentemente: autonomia, rispetto, maternità retribuita per indipendenti, cambiamento culturale, fiducia, considerazione, condivisione del tempo di cura, libertà di scelta, non dover scegliere tra lavoro e famiglia, tutele, opportunità, sicurezza, parità di competenze, più tempo, nessuna rinuncia e tranquillità.
La Presidente del Movimento Donne Impresa di Confartigianato Lombardia e Lecco, Elena Ghezzi, commenta così i risultati emersi dalla survey: “Le donne imprenditrici lombarde vogliono che il loro ruolo venga maggiormente riconosciuto, chiedono una reale integrazione, di essere valutate sulla base del merito, delle capacità e delle competenze. Nella maggior parte dei casi non chiedono un tipo di parità “da quote rosa”: tanto che alla domanda ‘Cosa ne pensa della frase del Presidente Draghi “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi” il 56,2% si dichiara completamente d’accordo. Crediamo sia necessario ripartire da una considerazione: per raggiungere la parità nel mondo del lavoro, dovremmo creare le condizioni perché ci sia reale condivisione anche nel lavoro di cura. È uno degli insegnamenti che ci lascia questa pandemia: la perdita più elevata di lavoratrici rispetto ai lavoratori in un momento di emergenza è un campanello d’allarme, che dovrebbe essere vissuto come un fallimento sul quale interrogarsi. È il segnale che qualcosa, nel mercato del lavoro, non sta funzionando. Vorremmo che questa esperienza potesse essere il punto di partenza per una riflessione più ampia verso un cambiamento, sociale e culturale, che vada nella direzione indicata dal nostro Presidente del Consiglio, la ricerca di una reale parità di condizioni competitive”.