“Non è possibile che tutti i rappresentanti del mondo non riescano a fermare un uomo?” Questo interrogativo posto con grammatica claudicante, è comparso in questi giorni, in un social molto frequentato, sulla cresta delle onde tumultuose massmediatiche che da quasi due mesi fanno il giro del mondo. Gli eventi bellici in Ucraina rischiano ormai (e in effetti lo hanno già fatto in qualche misura almeno per quanto riguarda i rapporti fra Oriente e Occidente) di trasformarsi da “operazione militare speciale”, secondo l’eufemistica espressione putiniana, in guerra globale.
Anche se la risposta alla domanda riportata all’inizio è semplice: sì, è possibile che nessuno riesca a fermare lo sviluppo e l’allargamento della guerra ormai già non più locale, almeno per quanto riguarda alcuni dei suoi effetti. La causa profonda di questa incapacità si chiama, ancora una volta, globalizzazione. È un fenomeno forse irreversibile che sta da molti decenni manifestandosi su scala planetaria. Irreversibile perché, temo, impossibile da governare dal momento che all’origine di questo processo non c’è un disegno comprensibile o un progetto opera dell’uomo, bensì una sorta di principio naturale che agisce a nostra quasi totale insaputa e che sta con sempre maggiore evidenza marginalizzando il ruolo attivo della specie homo sapiens sapiens in favore di una tecnicizzazione, in costante espansione e accelerazione, del mondo.
Ascoltate l’inascoltata voce del filosofo e scrittore Günter Anders, allievo di Heidegger e Husserl, marito di quella Annah Arendt che denunciò “la banalità del male” emersa al processo di Norimberga dopo la tragedia epocale dell’Olocausto. Scrive Anders che l’uomo ormai intriso soltanto di “illuministica” razionalità, è sottoposto a una “…legge senza legislatore, ossia una legge non sanzionata, che esisteva semplicemente, che, per quanto «ferrea», era senza ragione né sostegno, cioè la legge della natura” (G. Anders: “L’uomo è antiquato”; Universale Bollati Boringhieri. Vol. 1, pgg. 3320). Soffriamo, forse, in quanto esseri umani, di una specie di obsolescenza programmata dalla tecnica, ormai pervasiva su scala planetaria. Ricordate? L’ebreo barbuto di Treviri la chiamava “legge del capitale”; Emanuele Severino la definiva semplicemente “tecnica”. In entrambi i casi si assiste ad un fenomeno sempre più veloce di autopotenziamento il cui obiettivo coincide con il puro e semplice incremento autoreferenziale dell’efficacia strumentale, in un ciclo continuo compulsivamente ottuso e privo di orizzonti umani. L’escalation della contesa bellica in Ucraina è ormai diventato un dialogo tra sordi che solo le armi sembrano in grado di condurre. Stiamo diventando puri strumenti di un sistema tecnico globale che non siamo già più in grado di gestire in termini progettuali politicamente efficaci. Ricordate la favola dell’apprendista stregone? Ecco, sta succedendo qualche cosa del genere.
La tecnica, con la sua ancella, la tecnologia, sta per prendere possesso del mondo che inutilmente (per gli “scopi” della tecnica) abitiamo. La potenza di questo sistema distopico è in continuo incremento. Abbiamo decapitato le ideologie sotto gli sguardi opachi di stupide tricoteuses della politica non solo internazionale. Ora non abbiamo più strumenti che ci consentano di progettare nuove strutture sociali, politiche, culturali. Questa è la globalizzazione: un fatto, non un atto prodotto dalla razionalità umana per edificare le nostre “magnifiche sorti e progressive”. Un fatto che ci sta già seppellendo perché abbiamo perso ogni possibile bussola morale ma soprattutto etica. Non ci stupiscono ormai i più clamorosi paradossi. Come l’ineffabile denuncia dell’egocrate del Cremlino che stigmatizza alcune “aggressioni militari” ucraine che avrebbero violato i sacri confini della grande madre Russia. Tecnicamente, cioè decontestualizzando proprio come fa la tecnica nei confronti dell’umanità che l’ha prodotta, Il bullo di Mosca ha perfettamente ragione. Tecnicamente, appunto.