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Lunedì, 08 Marzo 2021 08:27

Gli Statuti della Valsassina, Pena di morte e “femminismo” nel Medioevo in Valsassina

in Cultura

Norme, leggi, decreti ministeriali, ordinanze regionali, disposizioni più o meno transitorie, circolari prefettizie e chi più ne ha più ne metta. In tempi pandemici anche il cittadino più distratto si è ormai impadronito di un lessico ostico e fino a ieri oscuro, con il quale da più di un anno siamo costretti a convivere non solo in Valsassina ma in tutta la penisola.

Si tratta di atti pubblici necessari al contenimento della più vasta e grave epidemia dopo la “spagnola” del 1918 – 1919. La pletora incessante di provvedimenti giuridici alla quale siamo sottoposti testimonia efficacemente la qualifica dell’Italia come “patria del diritto”. E anche, spesso, del rovescio. Non si parla, qui, di tennis né di cucito. Vero è che senza un apparato legislativo a precisare diritti e doveri, aspettative e comportamenti, nessuna società potrebbe sopravvivere come gruppo sociale e politico omogeneo. In altri termini, la res publica trova i suoi fondamenti istitutivi e vitali nel diritto penale, civile, societario, internazionale, del lavoro e così via.

È comunque forse utile ricordare come la Valsassina si sia data molti secoli fa, un corpus normativo autonomo inteso a regolarne gran parte dell’attività in termini di vita amministrativa, civile e giuridica. Infatti sotto la signoria milanese dei Visconti, sullo scorcio del Trecento, vennero redatti gli “Statuti civili e criminali della Valsasssina” (“Statuta Civilia & Criminalia Communitatis Vallisaxinae”). Si tratta di uno strumento di grande importanza per la storia locale poiché testimonia bene la precocità con la quale le popolazioni valligiane guardavano alla loro autonomia dai Visconti, in questo ben fiancheggiati dai detentori del potere feudale locale, i Della Torre, la cui storia fu strettamente legata per molti secoli a quella della valle.

Ne parliamo di seguito supportati ancora una volta da quella inesauribile miniera di notizie prodotta da Giuseppe Arrigoni (al quale è dedicata la civica biblioteca di Introbio) e composta a metà del XIX secolo, che va sotto il titolo di “Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe dalla più remota fino alla presente età”.
Spiega dunque l’Arrigoni che gli Statuti, composti da “…duecento ottantaquattro capitoli, vennero approvati da Gio. Galeazzo Visconti protettore, governatore e conservatore della valle e delle pertinenze il 21 novembre del 1388, letti e pubblicati nel general consiglio della comunità radunato nel palazzo pretorio in Introbbio per ordine del nobile Albertino De Cavalli, vicario della Valsassina e delle pertinenze, il giorno 25 del menzionato mese.”

Rimasti in vigore fino alla fine del XVIII secolo, gli Statuti estendevano la loro giurisdizione su un territorio molto vasto comprendente oltre alla Valsassina orograficamente definita, anche i territori di Dervio, bellano, Varenna, Perledo e Esino ed erano orientati a instaurare vincoli e prescrizioni normative soprattutto in due settori: il civile e il penale, allora definito “criminale”. Ma, come spiega l’Arrigoni, le competenze del corpus statutario valsassinese non si limitavano ai territori sopra citati, visto che anche la Val Taleggio e l’Averara erano “…soggette alla Valsassina…” come risulta evidente “…al cap. V, in cui “…vien data facoltà al vicario di Valsassina di porre in sua vece un vicario o due in Taleggio, in Averara e nei predetti monti…”. Per i più interessati al testo originale citiamo un breve estratto dal primo manoscritto e riportato in nota dall’Arrigoni: “Item statuerunt et ordinaverunt quod Vicarius, seu Rectore dicta Vallis et Montium possit, et teneatur, quando sibi videbitur, ponere unum Vicarium vel duos de hominibus Talegii in Talegium et similitur unum vel duos de hominibus Averariae in Averariam…”. Un latinorum che farebbe inorridire qualunque liceale. Ma, all’epoca degli Statuti, Cicerone era morto da molti secoli e il cosiddetto “volgare” stava ormai scalzando la lingua dei dotti. Prova ne sia che delle due copie esistenti degli Statuti, una è stata tradotta in italiano ad opera del notaio Leone Arrigoni.

Scorrendo il testo della parte “criminale” si scopre che la vita, al tempo degli Statuti, non doveva essere giuridicamente molto tranquilla anche a causa della pesantezza delle sanzioni previste, alcune delle quali prevedevano la mutilazione e, in extremis, la pena di morte. La descrizione di reati e relative pene è molto minuziosa e discriminante. C’erano ammende per chi “bestemmiava Dio e la Madonna”. Costui poteva essere condannato a pagare “cinquanta soldi terzoli, e chi bestemmiava i Santi solamente in soldi quaranta.” Come si vede le gerarchie celesti erano pienamente rispettate anche per quanto riguardava l’ammontare delle pene pecuniarie.

Spiega poi l’Arrigoni, che la scienza giuridica tesa ad equilibrare reato e pena entrava in funzione anche per i ladri “poiché chi rubava dieci soldi era multato in soldi cento” mentre chi si rifiutava di pagare “entro dieci giorni era punito nella persona a giudizio del vicario, dei sindaci e del consiglio generale”. Le norme prevedevano, come abbiamo detto, anche la mutilazione: chi si impadroniva illegalmente “da cento soldi alle dieci lire” se non pagava l’ammenda entro quindici giorni “doveva perdere un occhio”. E se l’ammontare del furto era ancora maggiore il ladro moroso rischiava di “perdere la mano destra” o peggio visto che “chi era recidivo la terza volta veniva appeso alle forche”.

Insomma in materia di reati e punizioni gli Statuti non badavano a spese. Come se non bastasse, quando il reo non pagava, si poteva ricorrere a considerazioni genealogiche poiché, riferisce Giovanni Arrigoni, “I parenti fino al quarto grado eran tenuti a soddisfar l’importo del furto.” Grande attenzione era posta inoltre alle differenze di genere visto che in val Taleggio e Averara, gli Statuti “oltre alla perdita dell’occhio e della mano, prescrivevano anche quella di un piede e per le donne invece delle citate era il taglio del naso”. Niente viene precisato, nel testo di cui disponiamo, a proposito degli “operatori” addetti alla somministrazione delle pene corporali. Numerosi sono pure i riferimenti penali al gioco d’azzardo, allora molto diffuso nelle osterie e taverne. Ma in questi casi le pene erano solo pecuniarie: nei casi più gravi il reo doveva pagare un’ammenda di venti lire. Ma solo se il reato veniva perpetrato “nelle chiese o nei cimiteri”. Tempi duri, quelli, anche per i piromani dato che chi “appiccava il fuoco ad una casa con rumore e moltitudine era punito col taglio della testa”. Il testo dell’Arrigoni nulla dice a proposito delle pene comminate agli incendiari solitari e silenziosi. En passant: anche l’omicidio prevedeva la decapitazione.

Non mancano i riferimenti agli spacciatori di monete taroccate. Infatti, a testimonianza della pericolosa potenza del denaro, “il falsario di monete e chi prestava ajuto veniva abbruciato vivo”. Andava un po’ meglio agli spergiuri e bugiardi i quali, qualora non avessero pagato l’ammenda dovuta, rischiavano di essere marchiati con “un bollo di ferro rovente sul viso” oppure sottoposti al “taglio della lingua”. L’alternativa prevedeva il rogo “a norma dei casi”.

Non mancavano negli Statuti, riferimenti “femministi”. Durissime, infatti, le pene in caso di stupro: “Chi forzava una donna, consumando l’atto, era condannato nel taglio della testa e nella perdita di metà dei suoi beni”. Ma, sottigliezze della legge, se “la donna violentata era disonesta, dovevasi pagare solamente lire dieci”. All’epoca la violenza carnale era ancora un delitto contro la morale, non contro la persona: ope legis, la donna “immorale” valeva molto meno di quella onesta. Gli Statuti normavano con pignolesca meticolosità anche i rapporti famigliari ed extrafamigliari visto che era permesso “al padre il percuotere il figlio, al marito la moglie disonesta, al maestro gli scolari, al fratello maggiore il minore, al padrone il bifolco”. Beninteso, precisa il testo riportato dall’Arrigoni, “sempre senza crudeltà”. Ferma restando la circostanza che chi conduceva un ménage famigliare more uxorio, il concubinario insomma, poteva lecitamente ancorché “aspramente” picchiare la sua convivente “purché non le facesse sangue, né le rompesse le ossa”.

In altri termini la concubina poteva essere sottoposta a corporale, purché incruenta, punizione. Come si vede nel Trecento pochi erano in grado di rilevare la differenza fra peccato e reato. Cesare Beccaria nascerà solo quattro secoli dopo. Ma anche gli uomini di legge erano passibili delle sanzioni previste dagli Statuti. A costoro erano riservati alcuni articoli in base ai quali “Il notajo che avesse fatte scritture false, o chi le produceva, era punito col taglio della mano destra.” Per buona misura il titolare della funzione notarile “che avesse arbitrariamente inscritto nel libro dei bandi o cancellatovi alcuno” doveva essere “marcato di perpetua infamia”. Inoltre, riferisce l’Arrigoni, il vicario era “entro un mese obbligato a far dipingere il ritratto col nome e cognome del notajo” sui muri esterni del municipio di Introbio esponendo in tal modo il reo, tramite i suoi connotati, al ludibrio dei cittadini.

A questo punto seguiamo anche noi i passi dell’Arrigoni il quale spiega che avrebbe voluto dilungarsi “alquanto sul codice delle leggi municipali” ma “per amor di brevità e per non tediare troppo chi non cerca che i fatti, ne lascio la cura alla perspicacia dei lettori”. E noi anche alla loro pazienza.
I due manoscritti degli Statuti” sono attualmente conservati al Centro di documentazione e informazione dell’Ecomuseo delle Grigne, nel Comune di Esino Lario.
Riferimenti:
https://ecomuseodellegrigne.it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Statuti%20della%20Valsassina%20del%201393

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Lunedì, 08 Marzo 2021 08:21

RICORDATI GLI SCIOPERI DEL 7 MARZO 1944

Cgil, Cisl, Uil, Anpi, Comune e Provincia di Lecco celebrano il 77esimo anniversario degli Scioperi del 7 marzo 1944. In questo giorno si ricorda il sacrificio di lavoratrici e lavoratori lecchesi per la libertà e il riscatto dell'Italia dalla dittatura. Furono 22 gli operai deportati nei lager nazisti, solo per aver scioperato, chiedendo condizioni di vita migliori e la fine dell’occupazione nazifascista, tra cui c’era anche Giuseppe “Pino” Galbani, prezioso testimone dell’Olocausto che per anni ha raccontato ai più giovani gli orrori del campo di concentramento.

Nella mattinata di domenica sono stati omaggiati questi lavoratori con una breve cerimonia al Parco 7 Marzo di corso Matteotti a Lecco e davanti alla lapide dei Caduti in via Castagnera, quest'ultima benedetta da don Mario Fumagalli. Alla manifestazione, contenuta per rispettare le norme antiCovid, hanno partecipato autorità civili e militari, tra cui Claudio Usuelli, presidente della Provincia di Lecco, Mauro Gattinoni, sindaco di Lecco, che hanno ricordato l'importanza degli scioperi del marzo 1944 per la costituzione dell'attuale società democratica e solidale. Non è voluta mancare alla cerimonia Giancarla Riva Pessina di Anpi Lecco, una delle ultime testimoni di quel giorno.

Non potendo organizzare la tradizionale iniziativa con l’incontro nell’aula magna dell’istituto Bertacchi di Lecco, a causa dell’emergenza sanitaria, è stato prodotto un documentario, insieme a Teleunica, con le testimonianze in video di Pino Galbani, Regina Aondio e Lino Funes, deportati nei lagar nazisti. Nel video intervengono anche Angelo De Battista (storico), Enrico Avagnina (presidente di Anpi Lecco) e Diego Riva (segretario generale Cgil Lecco, in rappresentanza di Cgil, Cisl e Uil).

“Non dobbiamo scordarci delle gravi responsabilità che ha avuto il fascismo italiano, con le leggi razziali del 1938: solo conoscendo la storia possiamo affrontare meglio il presente e il futuro – afferma Riva –. È stato soprattutto il mondo operaio delle fabbriche che, lottando contro il regime, ha creato le basi per una nuova società, per la libertà, per i diritti e per una tutela sociale. Questi scioperi sono stati importissimi anche per il mondo del lavoro di oggi e ci hanno insegnato che ogni volta che le lavoratrici e i lavoratori si uniscono possono fare la differenza. In questa ricorrenza ricordiamo anche Pino Galbani, deportato nel campo di concentramento di Mauthausen, scomparso quattro anni fa”.

“Gli Scioperi del 1944 sono forse il momento più alto di una lunga serie di mobilitazioni che iniziarono un anno prima – spiega De Battista –. Hanno avuto una chiara caratteristica di opposizione al regime e si è trattato di un evento unico della Resistenza italiana nel panorama europeo, ha rafforzato molto tutto il movimento. Allo sciopero parteciparono lavoratrici e lavoratori di importanti fabbriche della città, come Rocco Bonaiti, Badoni, Arlenico e Faini. Gli uomini furono portati a Mauthausen, le donne, invece, finirono ad Auschwitz”.

“Il 7 marzo 1944 è una data fondante dell’identità antifascista e democratica della città di Lecco, medaglia d’argento al valore militare – sottolinea Avagnina –. Si tratta di un momento in cui si parla della Resistenza come fattore collettivo. Anche grazie a questi atti siamo arrivati alla redazione della Costituzione e, quindi, al nostro Stato democratico. Ricordiamo che la nostra città ha tre date che la distinguono nella sua identità democratica e antifascista: oltre il 7 marzo 1944 non possiamo dimenticare il 17 ottobre 1943, data della battaglia di Erna, e il 12 luglio 1944 con la strage di Fossoli. In quei giorni, si espressero la resistenza degli operai, dei partigiani, dei cattolici, delle donne”.

 

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Lunedì, 08 Marzo 2021 08:17

Giornate FAI per le Scuole: impegnati gli studenti dell`Artistico

 gGi studenti del Liceo Artistico Statale “Medardo Rosso” apriranno virtualmente le mura e i sotterranei di Lecco
Nella mattinata di mercoledì 10 marzo gli “Apprendisti ciceroni” vi accompagneranno in un tour virtuale dal profilo Instagram @faigiovanilecco

Come ogni anno il FAI, attraverso le Giornate FAI Scuola, dà l’opportunità ai giovani di scoprire i tesori del loro territorio tramite visite guidate gestite da studenti come loro, che si sono formati per essere “Apprendisti ciceroni”. Nell’edizione 2021, a causa della pandemia, la modalità delle visite è stata modificata, infatti verranno svolte attraverso delle dirette sulle pagine Instagram delle delegazioni FAI di tutta Italia dall’8 al 13 marzo. Anche la nostra città avrà questa opportunità, nella mattina del 10 marzo, grazie alla collaborazione tra la delegazione Fai di Lecco e il Liceo Artistico Statale “Medardo Rosso”, che da sei anni aderisce al progetto “Apprendisti ciceroni”.

Nel progetto sono coinvolti gli studenti della classe 3^E design, che da qualche settimana si stanno preparando per essere all’altezza dell’importante compito. «Ci stiamo preparando per quattro live su Instagram – raccontano gli stendenti del Medardo Rosso - nelle quali presenteremo le testimonianze architettoniche dei resti del castello di Lecco, testimonianze che si nascondono nel centro della città. La nostra formazione è avvenuta online utilizzando la piattaforma WeSchool, appositamente predisposta dal FAI, ma anche tramite la visita dei luoghi che andremo a mostrare ai partecipanti alle dirette e agli incontri con l’esperto dott. Luigi Rosci che ci ha fatto appassionare a questo pezzo antico di storia di Lecco».

Questa attività realizzata insieme alla delegazione FAI di Lecco, è valida come PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), dando agli studenti la possibilità di conoscere una parte della storia del territorio che altrimenti sarebbe rimasta sconosciuta, sfruttando le loro naturale propensione e capacità all’utilizzo dei social network.

«Ci rendiamo conto – concludono gli studenti - che stiamo arricchendo le nostre competenze in diversi ambiti grazie al contributo del FAI giovani, della delegazione di Lecco e dei nostri docenti che ci stanno affiancando. Le dirette si terranno il giorno 10 marzo dalle ore 9:45 alle ore 11:00 e, non potendosi svolgere in loco come previsto originariamente, saranno arricchite con materiale fotografico e video. Che dire, seguiteci sul profilo Instagram @faigiovanilecco per prendere parte a questo tour virtuale … vi aspettiamo numerosi!»
Speriamo di avere molti partecipanti sia tra gli studenti della città di Lecco che tra la popolazione. È un’occasione imperdibile che permetterà di scoprire una parte dimenticata della nostra città! Per qualsiasi altra curiosità vi rimandiamo alla pagina web dell’evento: www.giornatefaiperlescuole.it.

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Lunedì, 08 Marzo 2021 07:09

GRANDE PAPA FRANCESCO !

Personalmente non sono mai stato un "Papista", come dicevano gli Inglesi nel XVI secolo, all`epoca della scissione anglicana praticata da Enrico VIII.
Non si puo` pero` non avere grande ammirazione,, oltre che rispetto, per la visita pastorale di Papa Francesco in uno dei luoghi piu` martoriati e pericolosi del mondo. Una missione ad alto rischio (in particolare rischiosi i trasferimenti in elicottero) conclusasi per fortuna nel migliore dei modi.

Il suo appello contro la guerra e il terrorismo, il rivendicare ancora una volta che "non si puo` uccidere in nome di Dio", l`incontro con il massimo rappresentante della Religione Islamica Sunnita, l`Ayatollah Ali Al Sistani, la sua Messa tra le macerie dei bombardamenti, il suo portare umilmente un ramoscello d`ulivo in una zona travagliata e adesso addirittura a rischio di guerre nucleari (proprio ieri l`Iran ha minacciato Israele di diventare oggetto di un attacco, appena avra` completato la preparazione della sua bomba atomica) sono qualcosa che fanno del Papa un altissimo protagonista positivo della politica internazionale.

La sua figura emerge ancora piu` grande se confrontata allo squallore e alla miseria invece della nostra politica interna, dove un politicante da strapazzo che si paragona a Machiavelli fa cadere un Governo in piena pandemia, mentre si reca nei paesi Arabi non per elogiare la Pace, ma per dichiarare, in cambio di 80.000 dollari, che chi fa a pezzi i giornalisti e considera le donne niente piu` che concubine e` un rappresentante del "Nuovo Rinascimento"!

Ci voleva, per portare un raggio di luce e di speranza in un mondo, e particolarmente in Italia, in preda ormai allo sconforto, un Papa che venisse dal Sud America, la terra della "Teologia della Liberazione", dell`indimenticabile Vescovo Helder Camara e di tanti altri sacerdoti trucidati dalle bande di coltivatori e spacciatori di droga.

Una terra dove la Chiesa, fin dai tempi del domenicano Bartolomeo de Las Casas, come pure i Gesuiti nel Settecento, si e` sempre schierata per davvero dalla parte dei piu` poveri e indifesi.

Grazie Papa Francesco per avere portato una luce di speranza dal fondo del tunnel: ne avevamo veramente bisogno !

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Domenica, 07 Marzo 2021 07:07

PARTNERSHIP TRA VENT MOTO E NILS LUBRIFICANTI

NASCE UNA NUOVA IMPORTANTE COLLABORAZIONE
TECNICA PER LA STAGIONE 2021

Due aziende leader nei rispettivi settori s’incontrano per dare vita ad un’importante
partnership che toccherà gli “aspetti produttivi” e le “attività racing”
del marchio valsassinese

Nuova stagione e grandi novità per VENT, pronta a lanciare una gamma moto
completamente rinnovata sia dal punto di vista tecnico che estetico, oltre che nel rispetto delle normative
EURO5. Nove i modelli nei segmenti motard, enduro, cross e minicross, che sapranno conquistare un
pubblico davvero molto più ampio in stagione, a partire dai più piccoli di 5/6 anni e fino ai 18enni.

Tra le primissime iniziative della stagione, un grande passo che porta VENT ad una nuova importante
collaborazione tecnica con un marchio leader nel settore della lubrificazione di alta qualità e ad alto
rendimento quale è NILS. Un’azienda estremamente dinamica che in oltre 50 anni di attività, con il suo
laboratorio interno, ha maturato un know-how globale che le consente di mettere a disposizione della
propria clientela dalle più semplici alle più complesse applicazioni di fluid-management con il massimo
riguardo verso gli aspetti ecologici. Competenza e passione per le due ruote, così che nel loro sito
www.nilsyourbike.com è possibile trovare un’ampia gamma di prodotti per moto sviluppati per un uso
professionale ed ora disponibili anche sul mercato per i clienti finali.

VENT e NILS, una partnership tutta italiana che ha identificato una serie di prodotti dedicati che saranno
usati nel processo produttivo delle moto. VENT usufruirà così di prodotti di assoluto livello, per migliorare ancor
più le prestazioni dei propri veicoli.
Entrambe le aziende lavoreranno in stretta collaborazione per lo sviluppo di tutte le attività utili alla
valorizzazione di una partnership che ambisce a proseguire e crescere nei prossimi anni, anche in funzione
dei nuovi prodotti in arrivo sul mercato.
Grazie alla capillarità distributiva di NILS in Europa e nel mondo, VENT garantirà un ulteriore supporto al
partner raccomandando ai propri Distributori e Rivenditori la gamma prodotti del Brand, anche per le
attività di manutenzione e aftermarket.

Oltre all’Italia, VENT è oggi ben distribuita sul territorio europeo, con un focus particolare ai mercati Francia,
Austria, Germania, Olanda, Belgio, Spagna e Portogallo.
La collaborazione tra VENT e NILS si dedicherà anche alla parte sportiva, grazie allo storico e vincente DNA
racing dell’azienda di Introbio, con la partecipazione al Campionato Italiano Enduro – dove il Team Enduro
VENT vedrà in pista 10 giovani piloti in sella alle BAJA RR 50 e RR 125 Racing, tra cui un ufficiale VENT -, al
Campionato Nazionale Velocità Motard 100 e al Campionato Nazionale Terra - MX 50.
VENT è attiva sul sito www.ventmoto.it e sui canali Facebook (@officialventmoto), Instagram
(@official_ventmoto) e Youtube (Vent Moto). Hashtag ufficiali: #libericonVent #mechanicsofemotions
NILS è attiva con il proprio sito www.nilsyourbike.com e sui canali Facebook (@nilsSpa), Instagram
(@nils.lubricants) e Youtube (NILS - EXPERTS IN LUBRICANTS). Hashtag ufficiali: #nilsyourbike #nils
#expertsinlubricants.

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Sabato, 06 Marzo 2021 15:22

I SINDACATI FESTEGGIANO L`8 MARZO

Come tutti gli anni, in occasione della Festa delle donne, i Coordinamenti Donne Cgil Cisl e Uil e Spi, Fnp e Uil Pensionati organizzano due iniziative a Lecco e Monza in occasione della Festa delle donne:

LECCO – Verrà trasmesso attraverso i nostri canali web e social uno spot sul «Gender gap».

 

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Sabato, 06 Marzo 2021 13:46

REGIONE: L'ARANCIO RAFFORZATO HA EVITATO IL ROSSO

L’ordinanza che ha introdotto misure da arancione rafforzato ha scongiurato il passaggio della Lombardia in zona rossa.

“La Lombardia – comunica il presidente regionale Attilio Fontana – secondo la valutazione settimanale della Cabina di Regia di Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute, dedicata al monitoraggio del rischio sanitario, ha parametri da zona arancione. Considerato l’aumento della trasmissione del virus, determinato dalla variante inglese, l’organismo ministeriale ha, però, raccomandato alle regioni dove l’incidenza settimanale superi la soglia di 250 casi per 100.000 abitanti, come la nostra, di adottare il massimo livello di mitigazione. Un’iniziativa da me già adottata ieri con la decisione di rafforzare la zona arancione, inserendo oltre alla chiusura delle scuole anche altre restrizioni, come le visite a parenti amici e lo spostamento verso le seconde case e le situazioni che generano rischi di assembramento”.

Ordinanza restrittiva per anticipare e non rincorrere il virus

“Un’iniziativa – sottolinea il presidente – che risulta assolutamente coerente con la valutazione odierna della Cabina di Regia. E che se non intrapresa avrebbe aggravato la situazione epidemiologica della regione. E, forse, costretto la Lombardia a passare in zona rossa. Ho sempre detto che occorre trovare un equilibrio tra la sicurezza sanitaria e quella economica. L’ordinanza di ieri va in quella direzione, così come va nella direzione di anticipare e non rincorrere il virus. I nostri esperti hanno ben chiarito, e oggi la valutazione della Cabina di Regia lo ribadisce, che con la presenza di varianti non c’è tempo da perdere. Occorre agire rapidamente. Mi auguro che queste restrizioni possano essere sufficienti per rallentare e frenare la corsa dei contagi, allontanando il rischio della zona rossa”.

Sostegno ai genitori ma le varianti coinvolgono soprattutto i giovani

“Sono molto dispiaciuto per i disagi che i genitori hanno dovuto affrontare per la chiusura della scuola. Vorrei, però, che comprendessero che purtroppo sono i contagi e il virus, talvolta, a dettare i tempi. Soprattutto con queste varianti che coinvolgono maggiormente i più giovani. Attraverso la vicepresidente Moratti, abbiamo però sollecitato, questa mattina, in Conferenza Stato-Regioni, il Governo per sbloccare immediatamente i sostegni per le famiglie, come i bonus baby sitting e i congedi parentali”.

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Sabato, 06 Marzo 2021 09:59

LA LEGGENDA DI REDENTA TIRIA di Salvatore Niffoi

in Cultura

Era un uomo saggio
eppure peccò.
Dio lo perdonerà
Per le sue buone intenzioni
Grazia Deledda, “Il Dio dei viventi”

“Considero la vita una lunga vacanza meditativa, in cui imparare a convivere con la solitudine, riflettere sulla provvisorietà dell'esistenza.” Parole di Salvatore Niffoi, premio Campiello 2006; scrittore sardo e di Sardegna; inamovibili radici barbaricine dalle cui profondità scaturisce, dice ancora Niffoi, una terra popolata da …”disperati, fragili, deboli; poche o nessuna possibilità di riscatto (…) dove ogni via di salvezza sembra impossibile”. Dopo questa violenta raffica di ottimismo non rimane che dare credito all’immaginazione. Immaginate una regione ctonia, corrusca di vapori. Immaginate una presenza numinosa la cui voce, simile a un sibilo d’agonia, pronunci innominabili profezie.

Immaginate l’Eroe, Enea tanto per volare alto, che approda all’antro per apprendere il suo futuro, il futuro di Roma e del mondo per i prossimi 1500 anni. Ecco. Immaginate ora, frustato dai gelidi venti sulfurei che Cocito esprime dall’abisso, il gemito terribile della Sibilla mentre scolpisce nel silenzio del cuore l’irrimediabile vaticinio: “Vabbuò. Guagliò, dimme ch’agg’a dì.”.
Proprio così. La voce ipnoticamente arcana che induce a un suicidio quasi rituale molti abitanti di Abacrasta, l’inesistente borgo barbaricino nel quale si svolge l’azione di “Redenta Tiria”, esordisce immancabilmente con stereotipico intercalare da Bagaglino:
“Ajò! Preparati che il tuo tempo è scaduto!”

Carosello sta per iniziare. Notare gli esclamativi per la serie: tchu is meglio che uan . Va sottolineata, per amore di equilibrio, la pregevole delicatezza dell’autore nell’evitare raddoppi dialettizzanti: “Ajò! Prepparrati che il tuo tempo è scadutto!”.
Grazie, Niffoi. Ben lo sappiam che il sardo: “nel raddoppiar la consonante dove è semplice, e scempiarla dov’è doppia, non la cede a nessuno”. (E. De Amicis: “L’idioma gentile – Bella musica sonata male”). La Morte, quella con la maiuscola, non può dire “Ajo!”. Né in Sardegna né in qualsiasi altrove. Niffoi, almeno qui, non usa il sardo come strumento espressivo contestualizzante ma impugna le singole parole come pietre da lanciare sullo sprovveduto che si avvicina si suoi testi. Non produce, “questo” Niffoi, il prurito piacevole della contaminatio, ma soltanto un’orticaria fastidiosa.

Insomma, l’effetto che si manifesta fin dalle prime pagine del romanzo di è più o meno questo: una galleria di ritratti tirati via di fretta, nemmeno un tentativo serio di approfondimento psicologico. Con qualche espressione dialettale buttata fra le righe qua e là a pioggia, come la punteggiatura di Totò. Certo, la voce ferale che annuncia e prescrive la morte “per cinghia”, non pretende di emanare dall’adyton della Pizia né dalle ipogee oscurità cumane. Ma il tentativo mitologizzante è scoperto. Troppo scoperto. La narrazione di Niffoi vorrebbe essere mitografica ma risulta mitomaniacale: Giasone, Eracliu e così via attraverso una Sardegna di cartapesta travolta dalla pletora onomastica che replica con mano pesante, all’infinito, il volto di una terra posticcia.

Dalle righe del romanzo non emergono tripodi sacri o sciamaniche ebbrezze narcotizzanti ad assecondare l’oracolo e a trarne ispirazione. Questo, almeno, lo scrittore barbaricino non lo afferma. Anche se lo suggerisce e se la narrazione, nelle intenzioni, sembra voler rivendicare stilemi nuragici riuscendo però soltanto a spargere disordinatamente una megalitica pletora di personaggi i cui nomi di arcaicamente sardo possiedono solo la desinenza, non lo spessore né il sentimento degli abitanti della favoleggiata Abacrasta “dove il cuore del tempo era di pietra”. Sì, di tanto in tanto, l’arte nobile di Niffoi appare in superficie con bagliori degni di ben altra temperie. I nomi, dicevo. Tutti forzatamente sardeggianti. Anche nel titolo si cerca l’aggancio col mito. La redentrice Redenta, è cieca. E allora chiamiamola Tiria visto (oops!) dato che anche Tiresia lo era. Troppo facile. Alla fine (è sempre lo Sparto padre di Manto a parlare) “La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta.” (F. Dürrenmatt “La morte della Pizia”; Adelphi).

Così si torna subito a galleggiare affannosamente in un coacervo di luoghi comuni e di personaggi lavorati non con cesello ma con lima da mazzo; con imbarazzante pertinacia. Sicché ne emergono tratti psicologici esili, fragili come foglie di mica. E come la mica isolano il carattere dal mondo sottraendogli colore e calore, delineando figure di cartapesta.
Che cosa si impara, qui “in Continente”, sull’animo e sulla cultura sarda, quando si legge tziu invece di zio? Furbastro ammiccare all’espressione dialettale.

C’è persino un po’ di spaghetti western con tanto di impiccati che dondolano al suono di un carillon. Il buono e il cattivo non sappiamo dove siano finiti. Qui c’è rimasto soltanto il brutto ma non ha la maschera gommosa di Eli Wallach
Il tentativo, scoperto, che sottende l’opera di Niffoi, è forse quello di ricreare un clima favoleggiante e misterioso, duro e disperato, fra l’aroma di Marques e il fetore di Verga. Macondo, però, rimane lontanissimo anche se lo sguardo dell’autore lo cerca ad ogni pagina, ad ogni riga. E padron ‘Ntoni sta veleggiando con “la Provvidenza” a distanze siderali insieme al coronel Aureliano Buendia.
Al gran bazar di Redenta Tiria non manca proprio nulla:, battorine, morre, istrumpe, burdi, launeddas… Mi correggo: in realtà le launeddas vengono buttate lì un paio di volte. Mi correggo per la seconda volta: qualche cosa è stato omesso: i Mammutones. Quelli, almeno, non ci sono. Rimangono aperti alcuni interrogativi. Anche perché Niffoi, di solito, è bravo con la penna. Non si vince un Campiello per caso. Avanzo un sospetto: le pressioni dell’editore sono prevalse su quelle dell’ispirazione artistica?

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Sabato, 06 Marzo 2021 06:44

LA CRISI DEL PD E` LA CRISI DELLA POLITICA

Le dimissioni del Segretario del PD Nicola Zingaretti sono state uno shock improvviso per i cosiddetti "militanti di base", cioe`quelli impegnati a cuocere le salamelle ai Festival dell`Unita`, almeno quei pochi rimasti, e a tenere aperte qualche straccio di sezione, anche quelle sempre piu` rare.

Zingaretti se e e` uscito con frasi forti ("mi vergogno di questo partito") che neanche Bersani, D`Alema e i fuoriusciti di Articolo Uno nel 2017 avevano osato pronunciare.

L`unica cosa che si e` capito e` che il PD e` attraversato per l`ennesima volta da un forte malessere: nell`era della personalizzazione della politica, dei Partiti "ad personam", disegnati su singoli personaggi piuttosto che su eventuali e chiari progetti politici, nessuno ha mai capito (nemmeno chi, come il sottoscritto, ha sempre adorato i Bizantini) quali profonde sottigliezze ideologiche dividano i "Franceschiniani" dagli "Orlandiani", i "veri dem" dai "Renziani", nuova categoria della politica, e ci si domanda perche` questi ultimi non abbiano seguito il loro leader nel suo nuovo partito del 2% .

Una volta le posizioni erano molto piu` chiare: Trotzky voleva la "Rivoluzione Permanente" in tutta Europa, Stalin il "Socialismo in un solo paese", cioe` la Russia. Il Partito Comunista voleva la Rivoluzione modello Sovietico, il Partito Socialista le Riforme nell`ambito del sistema liberale e capitalistico. Chiaro, netto, e basta: anche un operaio con la Quinta elementare, come ce n`erano tanti all`epoca, poteva capire le differenze.

Oggi non se ne capisce piu` niente, se non che il Partito che dovrebbe essere l`erede delle lotte del Movimento Operaio per il miglioramento delle condizioni di lavoro, invece di occuparsi delle condizioni drammatiche dei giovani, della disoccupazione e dello sfruttamento, della emarginazione delle donne dal mondo produttivo (solo nell`ultimo anno 100.000 donne hanno perso il lavoro) e infine del Covid e dei disastri provocati dalla Pandemia, e` squassato da diatribe per i piu` incomprensibili e da lotte intestine che sempre piu` disgustano e allontanano la Politica dalle persone comuni.

E non si dica che a Destra si sta meglio: vent`anni e oltre di appiattimento su un Tycoon che alternava periodi (disastrosi) di Governo ad oscuri affari giudiziari, da cui e` uscito perlopiu` con le prescrizioni, e con una sola condanna, hanno ridotto la Destra a non avere piu` una propria caratteristica politica. "Prima la Lombardia e la "Secessiun" ? No, prima l`Italia, il nazionalismo e il populismo, contrordine amici, c`e` Draghi e siamo diventati europeisti".

Dove sono i Minghetti, i Ricasoli, persino i Giolitti (" Ministro della malavita", lo chiamava un po` troppo ingenerosamente Gaetano Salvemini) ?
Non solo non ci sono piu` le sezioni, da una parte e dall`altra, ma neanche uno straccio di idea , almeno a lungo termine. Si va avanti giorno per giorno, secondo la contingenza, e caricando sempre piu` debiti sulle spalle delle prossime generazioni, le vere vittime di una politica sciagurata, sapendo che nessuno potra` mai pagarli veramente !

"Dio e` morto, Marx e` morto, e neanche io mi sento tanto bene" diceva una trentina di anni fa il geniale Woody Allen.
A non sentirsi bene per niente e` pero`, purtroppo, tutto il "sistema Italia" (come dice la Confindustria).

Addio Zingarettti, non ci ricorderemo di te (ridevi troppo !)

Enrico Baroncelli

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