Ieri sono stato ospite di Quarta Repubblica per parlare di Russia e Ucraina. Ho provato a dire, con semplicità, quello che penso. Che non succederà niente, e che la tensione è stata gonfiata anche dalla specie di conto alla rovescia innescato dalla Cia e reso pubblico (mi è sembrata una scena da Colosseo: quello che si sporge minacciando di buttarsi e la folla crudele che lo sfida a farlo…). Le guerre, i conflitti di potenza, non hanno sempre bisogno di spari e sangue: notizie, minuetti diplomatici, movimento dei pedoni sulla scacchiera sono come certi duelli tra cervi o altri animali nella stagione dell’amore: incruenti, ma veri.
Ho provato a dire che la pretesa della Russia di non avere i missili Nato sul pianerottolo di casa non è balzana. E che dobbiamo interrogarsi sull’utilità dell’espansione della Nato, invece di legami commerciali, civili, politici. Facciamo la radiografia a ogni paese che domanda di aderire all’Unione Europea, e invece la Nato è a porte aperte ? Abbiamo per forza bisogno di un nemico ?
Ho cercato di spiegare che tutto è molto legato all’Afghanistan. Putin, che ha visto l’impero sovietico incominciare a franare proprio lì, ha visto Biden in difficoltà, ed ha pensato che adesso era il turno dell’impero americano. Biden, in difficoltà anche con i suoi elettori ha bisogno di girare pagina. Da domani probabilmente la gara sarà a indossare la medaglia sul petto: “Li abbiamo costretti a tenere distante la Nato” o “Gli abbiamo fatto spegnere i motori dell’invasione”.
Quanto alle scelte di campo per me è ovvio vedere nella democrazia americana qualcosa che mi è più congeniale del regime russo, anche se la Russia è un paese che mi è caro. Ma non ignoro che gli USA – e specie con presidenti democratici – hanno dato inizio a un sacco di guerre, e la Russia di Putin no, limitandosi a bruschi interventi in Siria e di seconda mano in Libia. Penso che esistano strumenti democratici di soluzione dei secessionismi (referendum di autodeterminazione, autonomie sudtirolesi eccetera) che l’Europa dovrebbe favorire. E non credo che l’Europa, anche al di là del fabbisogno energetico, abbia bisogno di individuare in Mosca un nemico, o di avere per forza bisogno di un nemico, al di là del terrorismo internazionale.
Un interlocutore, garbatamente, mi ha ricordato le ombre e le penombre del regime russo, parlando anche di un giornalista italiano ucciso. Non solo conosco le penombre russe e bielorusse, dalla Politovskaya in giù. Ma ricordo – e l’ho fatto – il nome del giornalista italiano, Antonio Russo di Radio radicale, ucciso in Georgia. Forse, in quell’ angolo di mondo dove ognuno ha i suoi torti, avrei dovuto ricordare anche Andy Rocchelli, ucciso da milizie ucraine.
Alla fine, però, di una sola cosa sono certo. Anche se la tensione si sgonfiasse, difficilmente l’aumento dei prezzi, che dal gas ha contagiato gli articoli al consumo, farà marcia indietro, come i carri armati che risalgono su un treno.
Toni Capuozzo è un bravissimo giornalista in pensione corrispondente di guerra e dall'estero per molti anni sui canali Mediaset